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Commercio, le pesanti conseguenze degli attacchi via mare

I recenti assalti alle navi commerciali da parte degli Houthi sono motivo di grave preoccupazione per il mondo intero. Si tratta di una forte minaccia alle catene di approvvigionamento globali che fanno affidamento sul Mar Rosso e sul Canale di Suez, coprendo il 30% del traffico di navi portacontainer, attraverso un percorso cruciale anche per le spedizioni di petrolio greggio

I principali vettori commerciali hanno già scelto di dirottare le loro navi attraverso il Sud Africa, estendendo il viaggio del carico di due o tre settimane, ed è prevedibile un impatto sulle catene di approvvigionamento di tutti i prodotti venduti.
Per molti osservatori, saranno i beni di consumo a subire l’impatto più significativo. Una riduzione della capacità disponibile dei vettori comporta una maggiore pressione sulle tariffe di trasporto marittimo e il conseguente aumento dei costi complessivi. Inoltre, la sospensione temporanea delle spedizioni da parte di alcuni giganti petroliferi, attraverso la rotta interessata, non potrà che influenzare i prezzi del carburante, con i medesimi effetti. La perdita delle navi e dei container attaccati, infine, potrebbe portare a una potenziale congestione nei porti e a ulteriori ritardi.
In poche parole, le interruzioni del trasporto marittimo in un’area tanto critica del mondo stanno causando un effetto domino sulle catene di approvvigionamento internazionali e le aziende che fanno affidamento su consegne puntuali di materie prime e prodotti finiti subiscono ritardi che potrebbero causare interruzioni e carenze di produzione.
Si tratta di un fenomeno che non colpisce solo il settore marittimo, ma ha profonde ripercussioni anche su altri settori, come quello automobilistico, elettronico e della vendita al dettaglio.


Butterfly effect e colli di bottiglia

È dunque di un sistema esteso e delicato e ogni evento che si verifica al suo interno rischia di avere conseguenze che possono essere devastanti a livello globale: un effetto farfalla i cui risultati non tardano a manifestarsi in ogni parte del mondo.
Sono questi i cosiddetti colli di bottiglia della supply chain, veri e propri punti di congestione che creano ritardi e costano tempo prezioso alle aziende, aumentando le spese di produzione.
Tra questi possiamo annoverare la carenza di manodopera o di componenti, le crisi di capacità di fronte alla crescente domanda, gli effetti ancora persistenti della pandemia, l’eccesso di burocrazia determinato da decisioni politiche come la Brexit (pensiamo ai ritardi a Dover, dovuti al Goods Vehicle Movement Scheme, ad esempio) e in genere ogni tipo di strozzatura che colpisca le catene globali di approvvigionamento.
È facile intuire come uno dei più comuni colli di bottiglia sia rappresentato dalle restrizioni geografiche provocate da incidenti, eventi catastrofici e conflitti di ogni genere: prendiamo ad esempio un punto nodale come il Canale di Panama. È questo uno dei due canali navigabili più importanti del mondo ed è oggi alle prese con un problema davvero senza precedenti.
Nel corso del 2023, la siccità ha causato una riduzione della sua portata, al punto da limitarne la navigabilità. L’inaridimento delle risorse idriche nell’area ha determinato l’impossibilità di utilizzare questa via d’acqua, che in condizioni normali permetterebbe il transito di navi con un pescaggio di 50 piedi, mentre è ora necessario ridurlo al massimo a 44 piedi.
Per soddisfare tale criterio, i portacontainer devono imbarcare meno merci e sono dunque costretti a viaggiare con parte della stiva vuota. Ciò non consente alle aziende trasportatrici di ammortizzare i costi di navigazione e causa ritardi nella circolazione delle merci.
La situazione non pare essere passeggera, perché il livello del lago Gatun, che alimenta il canale, è sceso molto al di sotto dello standard e si prevede quindi che il problema perduri nel corso del 2024.
Un Canale di Panama a mezzo servizio sta avendo un impatto significativo sul traffico di container in direzione degli Stati Uniti, perché circa il 40% del volume dei trasporti verso tale importantissimo mercato passa attraverso questa via, rendendola un’infrastruttura decisamente critica per l’economia degli Usa.
Ma le conseguenze per la supply chain globale vanno ben oltre la congestione delle rotte nelle immediate vicinanze di Panama, dal momento che, da quest’altra parte del mondo, affrontiamo da tempo un grave problema di pirateria sulle rotte commerciali.


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La Porta delle Lacrime e gli attacchi degli Houthi


Come sappiamo, la pirateria marittima è diffusa in diverse regioni del mondo.
Rapine con minaccia o uso di violenza possono avvenire in mare aperto, in acque territoriali o nei porti. Ne sono bersaglio le barche da pesca e gli yacht, le navi da crociera e le rotte commerciali.
Gli attacchi a mano armata sono ormai da anni un evento frequente nel Golfo di Guinea. I pirati derubano le navi mercantili, sequestrando l’equipaggio per ottenere un riscatto, e non esitano a ricorrere all’uso della violenza e persino all’omicidio. L’Africa orientale e il Golfo di Aden sono ormai considerati un’area ad alto rischio.
Nel 2010, l’Osservatorio di Politica Internazionale della Camera dei Deputati denunciava un costo economico di oltre 100 milioni di dollari all’anno, solo per il pagamento dei riscatti pretesi nell’area della Somalia, e pare che almeno tre miliardi di dollari siano stati spesi per la necessità di affrontare rotte alternative, come la circumnavigazione dell’Africa, per evitare le aree dove imperversavano i pirati.
Ma il recente conflitto che interessa il Medio Oriente, dopo i tragici fatti dello scorso 7 ottobre in Israele, ha causato un’escalation senza precedenti, le cui conseguenze sono già evidenti su tutti i mercati.
In Italia, Confartigianato ha stimato che il rischio di attacchi da parte dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi che attraversano lo Stretto di Bab el-Mandeb è costato in soli tre mesi 8,8 miliardi di euro.
Circa 3,3 miliardi, cioè 35 milioni al giorno, sarebbero dovuti alle mancate o ritardate esportazioni; 5,5 miliardi, vale a dire 60 milioni al giorno, all’impossibilità di approvvigionarsi di prodotti manifatturieri.
La crisi investe anche le piccole imprese del settore trasporti: nei 15 maggiori porti italiani che movimentano oltre un milione di tonnellate di merci attraverso il Mar Rosso esistono complessivamente 13mila imprese, per le quali la difficoltà a operare normalmente metterebbe a rischio oltre 2,5 miliardi di euro di fatturato.
Come sappiamo, però, non si tratta solo di una questione italiana. I problemi ad attraversare il Canale di Suez non risparmiano alcun settore merceologico e l’impatto sulla supply chain a livello globale è da manuale: basta dare un’occhiata all’indice del costo del trasporto marittimo dalla Cina all’Europa che nella sola settimana del 12 gennaio 2024 è cresciuto del 120,6%, rispetto alla settimana precedente.
Bab el-Mandeb, che in italiano vuol dire Porta delle Lacrime, è lo stretto che le navi che provengono dall’Oceano Indiano attraversano per entrare nel Mar Rosso e gli Houthi, che abitano le zone più remote dello Yemen, si trovano ora a fronteggiare un’attenzione mediatica che in realtà sta facendo il loro gioco. Sembra addirittura che la nave da trasporto che hanno dirottato nel loro primo attacco si trovi ancorata al largo della costa del paese, come attrazione per la gente locale.
In pratica, le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati, Italia compresa, non fanno che contribuire a trasformare una piccola e sconosciuta forza regionale in un fenomeno internazionale.
Mohammed al-Bukhaiti, portavoce degli Houthi, ha affermato che gli attacchi continueranno finché durerà l’assalto israeliano a Gaza, ma non esiste alcuna garanzia che gli atti di pirateria cessino realmente, sempre ammesso che la questione palestinese giunga a una qualche soluzione.
Quel braccio di mare è da lungo tempo teatro di questo tipo di attività, che dallo scorso novembre si sono soltanto inasprite: in poche parole, l’operazione guidata dagli Stati Uniti per mettere in sicurezza le acque del Mar Rosso potrebbe benissimo non essere in grado di risolvere il problema, ed è possibile che un ritorno alla normalità nel trasporto navale in quell’area sia molto di là da venire.
In ogni caso, le interruzioni nelle catene di approvvigionamento hanno la caratteristica di perdurare ben oltre i fattori che le hanno innescate. Quando la nave portacontainer Ever Given rimase incagliata nel Canale di Suez per sei giorni, nel 2021, ci vollero mesi per riassorbire completamente i ritardi accumulati.


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Quanto vale il trasporto attraverso il Mar Rosso

Come accennato in premessa, attraverso il Mar Rosso passa circa il 12% del commercio globale e il problema che ha colpito il Canale di Panama sta rendendo più drammatico il collo di bottiglia che si è venuto a creare. Fino ad ora, si è calcolato un calo dal 35% al 70% delle navi mercantili che attraversano l’area: si tratta di vettori che attendono istruzioni, nella speranza che le operazioni di controllo delle flotte Usa e dei loro alleati confermino che l’area è davvero più sicura, mentre altri hanno già cominciato il lungo viaggio per circumnavigare l’Africa.
C’è anche da tener conto che quest’area è al centro del commercio di gas naturale liquefatto (Gnl) che serve all’Europa in alternativa al gas russo. Le navi metaniere statunitensi, che hanno già subito ritardi a causa della congestione nel Canale di Panama, sono in rotta verso il Capo di Buona Speranza per evitare lo stretto di Bab el-Mandeb. L’aumento dei prezzi del gas in Europa ha così iniziato a manifestarsi e i futures del Brent e Wti (le commodities che costituiscono un benchmark per i prezzi petroliferi negli States) sono aumentati rispettivamente dell’1,8 e dell’1,5%.
Gli economisti temono ora un aumento dell’inflazione per l’effetto combinato con l’aumento dei costi del trasporto, di quelli assicurativi e per la necessità di allungare le rotte.
In breve, rimarcando le vulnerabilità nella catena di approvvigionamento globale, la questione che affligge il Mar Rosso sta evidenziando altri colli di bottiglia che non hanno tardato a manifestarsi per l’economia italiana e del mondo intero.

Supply chain o catena di approvvigionamento

È questa l’espressione che usiamo per indicare l’intero processo che consente di portare sul mercato e vendere un prodotto o un servizio, trasferendolo dal primissimo fornitore fino all’acquirente finale.
Si tratta dunque di un percorso piuttosto complesso, che coinvolge più settori e numerose attività delle imprese: dal flusso di materie prime, legato ai processi di produzione, fino alla logistica distributiva, che si occupa di far pervenire il bene acquistato al cliente.
In altre parole, quando si parla di supply chain ci riferiamo ad aspetti diversi: dalle fasi di pianificazione, esecuzione e controllo di tutte le attività legate al flusso di materiali (e informazioni), sin da quando viene ricevuto un ordine da parte di un cliente, fino alle attività che rendono possibile lo svolgimento di tali fasi.
Com’è facile intuire, il concetto odierno di supply chain presenta un grado di complessità assai maggiore rispetto alle filiere che esistevano anni fa e ciò dipende dalla globalizzazione dei mercati e dall’intensificarsi dei flussi di materie prime, oltre al cambio di abitudini dei consumatori. Le fasi che costituiscono i cosiddetti anelli della supply chain rappresentano la vera e propria catena di approvvigionamento, ma ognuna di esse è poi scomponibile in processi minori.
La fase di approvvigionamento si riferisce a come, dove e quando è possibile procurarsi le materie prime necessarie per realizzare la produzione di un bene o servizio. Quella di produzione è l’attività di fabbricazione vera e propria, nella quale vengono utilizzate le materie prime. Infine, c’è la fase di distribuzione, che comprende tutte le operazioni che portano alla consegna del bene al cliente e rappresenta perciò il risultato del lavoro di distributori, magazzini, retailer e piattaforme digitali.
Il concetto di supply chain incontra quindi quello di catena del valore o value chain: quanti più anelli attraversa la produzione e fornitura di un prodotto, maggiore risulterà il valore finale accumulato e dunque il suo costo complessivo.


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Logistica e processi di automazione

La catena di approvvigionamento rappresenta il flusso completo che un prodotto attraversa, dalla fase di produzione fino alla sua vendita, e non va confusa con la semplice logistica, che costituisce solo una parte di essa, rappresentando l’insieme di attività organizzative e strategiche che un’impresa mette in atto per gestire i flussi di materiali, lo stoccaggio delle materie prime e la distribuzione dei prodotti.
I processi di globalizzazione spingono le catene di approvvigionamento a diventare sempre più complesse, in termini di velocità, flessibilità, precisione ed efficienza. Sotto questo aspetto, quindi, le nuove tecnologie digitali, la robotizzazione dei centri logistici e l’avvento dell’intelligenza artificiale stanno contribuendo a modellare nuove e più sofisticate forme di supply chain, incrementando la catena di valore da un lato e rendendo sempre più sensibile l’intero sistema. L’automazione industriale consente oggi di integrare i processi di gestione delle attività di magazzino, facilitando l’organizzazione delle operazioni di inventario e ottimizzando la gestione degli ordini, con la logistica interna e la gestione del trasporto e della distribuzione globale delle merci.
Questi sistemi consentono di pianificare le rotte di trasporto in base a esigenze che rispondono alla domanda di una sempre maggiore efficienza e rapidità, ma espongono le aziende a rischi che una volta erano impensabili e che impattano immediatamente sulla loro redditività.