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Le promesse delle terapie sperimentali

Genetica, cellule staminali, nuovi protocolli: alcune sperimentazioni sembrano poter dare oggi una risposta definitiva a malattie incurabili. La ricerca di un’agognata guarigione, però, passa anche per la sostenibilità economica delle innovazioni. Alcuni studi sono più promettenti di altri e consentono di guardare con fiducia al futuro

Quando si parla di possibili cure per gravi malattie che finora non ne hanno, la speranza si accende rapidamente ma altrettanto rapidamente si scopre che molto spesso si tratta di trattamenti futuribili, ancora in fase di precoce, a volte precocissima, sperimentazione in laboratorio. Eppure, le scoperte scientifiche applicate alla medicina si moltiplicano e obiettivi che fino a pochi anni anni fa sembravano irrealizzabili, oggi sono (quasi) alla portata.
Pensiamo al caso delle evoluzioni della terapia genica della beta talassemia, la forma più grave di anemia mediterranea, una malattia ereditaria del sangue, causata da un difetto genetico che provoca la morte dei globuli rossi. La mutazione genetica causa, oltre che la distruzione dei globuli rossi, una minore presenza di emoglobina e quindi una scarsa ossigenazione che porta estrema stanchezza e scarsa crescita. È una malattia invalidante perché obbliga chi ne soffre a sottoporsi a frequenti trasfusioni di sangue. In Italia la maggior incidenza si riscontra in Sardegna e in Sicilia, ma più in generale è tipica di aree paludose (per esempio il delta del Po) o dove non c’è un grande ricambio genetico, cioè in gruppi chiusi. L’anemia mediterranea è determinata dalla mutazione dei geni che controllano la produzione di una delle due proteine che costituiscono l’emoglobina: nella beta talassemia è alterata la composizione delle catene beta.

La guarigione dev’essere per tutti

Oggi, la terapia genica sembra poter dare una risposta definitiva a questa terribile malattia: la guarigione. La recente sperimentazione clinica del principio attivo Betibeglogene autotemcel permette di correggere il difetto alla base della malattia genetica, ingegnerizzando le cellule staminali trasferendo al loro interno una copia corretta del gene della beta-globina, attraverso un retrovirus usato come vettore. In questa sperimentazione, l’Italia è stata molto presente, giacché è all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma che è stato curato un terzo dei pazienti coinvolti.
I risultati del follow-up, dal 2016 allo scorso anno, presentati dalla rivista scientifica New England Journal of Medicine, hanno evidenziato che nove pazienti su dieci erano diventati indipendenti dalle trasfusioni: in sostanza, erano guariti.
Tutto bene, quindi? Non proprio, perché, come per altre terapie sperimentali, il problema è spesso quello della sostenibilità: lo stesso New England Journal of Medicine ha fatto notare che i risultati della sperimentazione avranno un impatto importante nella pratica clinica, ma la sfida vera è rendere disponibili le cure per tutti, anche in quelle aree del mondo con scarse risorse.


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Alla ricerca di nuovi vaccini

Ampliando lo sguardo anche oltre le promesse (spesso mantenute) della terapia genica, ci sono molti altri strumenti, cure e pratiche che in un futuro molto prossimo potranno migliorare la vita di tutti e salvare quella di molti. Nel 2024, si continuerà a studiare nuovi vaccini, per esempio quello contro l’Hiv, e l’intelligenza artificiale sarà sempre più frequente nelle diagnosi e anche nelle terapie, applicata a molti ambiti.
Uno studio promettente, citato dalla rivista scientifica Nature Medicine, è quello che riguarda proprio Vir-1388, un vaccino per la prevenzione dell’infezione da virus dell’immunodeficienza umana, cioè l’Hiv, il patogeno che provoca l’Aids. Partecipano al test adulti di età compresa tra 18 e 55 anni in buona salute che riceveranno Vir-1388 o un placebo, come si fa in studi come questi.
Il vaccino induce risposte immunitarie delle cellule T che possono prevenire il contagio da Hiv. Vir-1388 è una sorta di evoluzione di Vir-1111, un tipo di vaccino che aveva superato la prova della sicurezza ma aveva mostrato di provocare una scarsa risposta immunitaria: i ricercatori pensano che il nuovo “sarà più immunogenico”, cioè provocherà una risposta immunitaria adeguata.

Il Parkinson, ma all’inizio

Entro la fine del 2024, una sperimentazione sulla malattia di Parkinson potrebbe dare risultati incoraggianti per quei pazienti nella fase iniziale, quando i sintomi sono moderati. Questi sono pazienti spesso esclusi dai trial che invece si concentrano solitamente sullo stadio avanzato della malattia. A pensarci è strano, perché è proprio quando la malattia è agli esordi che le cure potrebbero essere più decisive.
Nel dettaglio, lo studio, chiamato Stem-Pd, utilizza neuroni derivati da cellule staminali embrionali umane in pazienti di età compresa tra 50 e 75 anni, affetti da malattia di Parkinson con sintomi lievi. È la prima volta che una terapia con cellule staminali embrionali umane è testata nel morbo di Parkinson. Ai primi pazienti sono state somministrate già le prime cellule staminali nel febbraio 2023: i ricercatori contano di avere risultati preliminari entro 12 mesi.


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Nuovi protocolli per le malattie mentali

Ma, come noto, le malattie del fisico non sono necessariamente le più gravi o le più temute. Un vasto orizzonte di studi si sta sviluppando riguardo le malattie mentali. Si tratta di protocolli psichiatrici e psicanalitici, dove non c’entrano la terapia genica, l’intelligenza artificiale, i vaccini o le cellule staminali.
È il caso dello studio chiamato Effectiveness and cost-effectiveness of the New Orleans intervention model for infant mental health (BeST?-), che riguarda le malattie mentali infantili o che hanno origine nell’infanzia. Bambini abusati e allontanati da casa, oppure abbandonati hanno un rischio molto più elevato di suicidio, marginalizzazione o incarcerazione, e anche di sviluppare disturbi fisici. I ricercatori sono convinti siano necessari approcci migliori per aiutare questi bambini a raggiungere il loro pieno potenziale.
Nel primo studio di questo tipo saranno seguiti bambini dagli zero ai cinque anni per due anni e mezzo e i risultati saranno confrontati con bambini trattati in modo tradizionale. Se il modello proposto dovesse rivelarsi più valido, cambierebbe in modo radicale l’assistenza pediatrica in questo ambito, a livello globale.


Problemi di redditività

Cosa significa sostenibilità della terapia genica? Gli investimenti in questo campo così promettente, paradossalmente, sono scarsi perché scarsa è la redditività. Non è raro il caso che alcuni farmaci sviluppati siano stati poi ritirati dal commercio perché non sostenibili a livello di costi. Fondazione Telethon, ad esempio, si è fatta carico dei costi necessari per mantenere un farmaco disponibile per alcuni pazienti affetti da una rara patologia, l’immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina deaminasi, nota anche come Ada-Scid.
Il Centro nazionale per lo sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna, costituito recentemente, ha proprio l’obiettivo di tradurre i risultati della ricerca in applicazioni cliniche concrete. Il progetto, finanziato con 320 milioni di euro dal ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Pnrr, coinvolge più di 40 enti pubblici, privati e imprese sul territorio nazionale, nonché migliaia di scienziati.