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Qatar, il sottile fascino dell’ambiguità

Fa affari con Israele ma finanzia Hamas, ha rapporti eccellenti con l’Iran ma ospita la più grande base militare Usa in Medio Oriente. Senza dimenticare il suo peso strategico nel sostituire le forniture di gas russo ai paesi europei. Ecco come Doha è riuscita a diventare un attore geopolitico di primo piano nello scacchiere internazionale

È grande più o meno come l’Abruzzo, ha meno di tre milioni di abitanti e si sta imponendo come superpotenza globale della geopolitica. Il Qatar negli ultimi dodici anni ha visto crescere in modo esponenziale il proprio peso internazionale, diventando molto spesso il principale, se non l’unico, mediatore nei più caldi dossier asiatici. Ciò è dovuto a una serie di fattori, li analizzeremo, che mettono in evidenza soprattutto due elementi: il suo potenziale economico, dovuto soprattutto alla presenza di ricchi giacimenti di gas naturale, e l’abilità della famiglia al-Thani nel sapersi relazionare con soggetti estremamente dissimili, quando non acerrimi nemici. Il risultato è che il Qatar ha fatto dell’ambiguità il proprio marchio riconoscibile: pur assumendo posizioni a volte molto nette, tiene il piede in tutte le scarpe possibili. Fa affari con Israele ma finanzia Hamas, ha rapporti eccellenti con l’Iran ma ospita la più grande base militare Usa in Medio Oriente, senza tralasciare le ottime relazioni con Francia e Turchia, e rapporti di lunga data con i Talebani in Afghanistan.

Ascesa di un piccolo emirato

Dalla sua indipendenza dal Regno Unito (1971) il paese è retto dalla famiglia al-Thani attraverso un regime monarchico assolutistico: l’attuale emiro Tamim bin Hamad è al potere dal 2013, dopo l’abdicazione da parte di suo padre Hamad bin Khalifa. Nelle ambizioni della casa regnante, il Qatar deve estendere la propria influenza sull’intero pianeta. Perché l’emirato ha enormi possibilità finanziarie che derivano dagli idrocarburi, e perché è diverso dagli Stati che lo circondano. A renderlo diverso è soprattutto il rapporto con l’Iran, con il quale condivide il più grande giacimento di gas al mondo, il South Pars/North Dome, e per questa ragione intrattiene ottimi rapporti con Teheran.
La popolazione autoctona qatariota è di religione sunnita, prevalentemente di confessione wahabita (dottrina ultraconservatrice e particolarmente rigida dell’Islam), e in questo senso può essere accomunata ai sauditi, dai quali però li allontana proprio il rapporto con l’Iran, che è stato la causa dell’isolamento imposto al Qatar da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi e altri paesi che hanno inflitto a Doha una serie di dure sanzioni economiche tra il 2017 e il 2021. Durante l’embargo il Qatar ha potuto contare, in primis a livello di forniture alimentari, sul supporto fornito dalla Turchia, il risultato di anni di lavoro operato nel favorire i propri rapporti con Ankara.
Il legame con gli Stati Uniti, invece, nasce fondamentalmente nel 1991, quando il Qatar durante la guerra del Golfo, concesse l’utilizzo del suo territorio agli Stati occidentali. In seguito gli Usa hanno costruito la base aerea di al-Udeid, che ospita la più grande struttura militare americana in tutto il Medio Oriente. Per gli Stati Uniti, va inoltre ricordato, il Qatar ha avuto un ruolo di attore politico fondamentale nel fare da mediatore durante le drammatiche operazioni di evacuazione dei cittadini occidentali dall’Afghanistan nel 2021 di fronte dell’avanzata dei Talebani e al contestuale crollo del governo di Kabul sorto dopo il 2001 a seguito dell’intervento della coalizione a guida americana.


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Il soft power di Doha

Uno dei più conosciuti vettori con cui il Qatar prova a imporre da anni il proprio soft power è senza dubbio Al Jazeera. Nato nel 1996, il canale televisivo in lingua araba e inglese è diventato in poco tempo il più rilevante della regione con un’importante proiezione internazionale anche in Occidente, soprattutto grazie alla sede londinese. Al canale viene attribuita una particolare influenza per aver appoggiato le cosiddette primavere arabe nel 2011, che la TV qatariota ha seguito fin dall’inizio.
Le ambizioni di esercitare un soft power con una proiezione globale hanno trovato il proprio tripudio nell’assegnazione al Qatar dei mondiali di calcio 2022, da molti considerato come uno dei principali successi geopolitici dell’emirato. Diventando il primo paese del Medio Oriente a ospitare un evento calcistico così prestigioso, il Qatar ha guadagnato riconoscimento internazionale e ha sottolineato la sua capacità di gestire grandi eventi globali. Un tentativo di farsi percepire in modo positivo anche presso le opinioni pubbliche occidentali, le quali non hanno risparmiato critiche all’emirato in tema di rispetto delle libertà democratiche e dei diritti umani.
Bisogna ricordare l’altra faccia della medaglia: in Qatar i partiti politici sono banditi, è vietato formare un sindacato, la stampa è censurata e l’omosessualità è un reato che può essere punito con la pena di morte. Di tutta la popolazione presente nel territorio qatariota, soltanto il 10-15% circa gode dei pieni diritti di cittadinanza, e degli enormi privilegi e ricchezze che ne derivano; chi non è cittadino, cioè la stragrande maggioranza della popolazione residente, vive in condizioni svantaggiate e di assenza di diritti, totale o parziale.
Ed è proprio nel tentativo di offrire in Occidente un’immagine migliore di sé che è scoppiato lo scandalo del cosiddetto Qatargate. L’inchiesta della magistratura belga ha coinvolto 60 eurodeputati e si è rivelata il peggior scandalo di corruzione ad aver mai colpito il Parlamento Europeo.

L’alternativa al gas russo

Ma le ripercussioni nelle relazioni tra Europa e Qatar sono state praticamente nulle. Con la guerra innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, le conseguenti sanzioni occidentali contro Mosca, e il tentativo da parte del presidente russo Vladimir Putin di usare il gas come arma di pressione politica, l’Europa ha un fondamentale bisogno del gas qatariota per emanciparsi definitivamente da quello russo. Gli ultimi dati raccolti dalla Commissione europea dicono però che c’è ancora molta strada da fare: tra marzo e giugno 2023 la Russia era ancora il quarto maggiore fornitore di gas tramite i gasdotti (con una quota del 13,8%) e il secondo (dopo gli Stati Uniti, che hanno una quota del 46,4%) per il gas liquefatto, con il 12,4% delle forniture. Il Qatar è il terzo fornitore di gas liquefatto, con una quota 10,9%, ma il suo peso salirà.
È notizia dello scorso ottobre la firma tra l’Eni e la QatarEnergy di un’intesa per l’acquisto di una quantità massima di 1,5 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto all’anno per 27 anni, a partire dal 2026. L’intesa, in particolare, opererà per tramite della QatarEnergy Lng Nfe, nuova società costituita nel giugno dello scorso anno proprio tra l’azienda qatariota (che ha il 75% delle quote) e il gruppo italiano (che ha l’altro 25%) e che ha il controllo del 12,5% del North Field Expansion, progetto per la liquefazione di 32 milioni di tonnellate all’anno (un milione di tonnellate di gas naturale liquefatto equivale a circa 1,38 miliardi di metri cubi di gas immesso in rete).
La sigla con il colosso italiano dell’energia (che dal 2007 importa già ogni anno 2,9 miliardi di metri cubi di gas dal Qatar) è arrivata dopo la sottoscrizione di altri due importanti contratti che Doha ha firmato, sempre lo scorso ottobre, con l’olandese Shell e la francese Total.


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Unico interlocutore tra Hamas e Israele

La centralità del Qatar come mediatore internazionale è tornata a farsi vedere in modo palese dopo il 7 ottobre 2023, con lo scoppio del nuovo conflitto tra Israele e Hamas. L’abilità del Qatar di tenere un piede in due scarpe è evidente: sebbene non abbia mai fatto mancare il proprio sostegno alla causa palestinese (per altro non solo a parole, giacché negli scorsi anni ha finanziato con 400 milioni di dollari la ricostruzione di Gaza), l’emirato mantiene rapporti commerciali con Israele, e allo stesso tempo foraggia Hamas e ne ospita i suoi leader a Doha.
In questo contesto, quindi, Doha ha tratto vantaggio dalla sua capacità di rimanere al di fuori dei conflitti regionali, sfruttando la forte instabilità della regione a suo favore. Questa posizione ha contribuito a preservare la stabilità interna del Paese e a consolidare la sua immagine come mediatore affidabile e rispettato.


Lo shopping all’estero dell’emirato

Il Qatar, con i suoi soldi, è penetrato nelle economie europee da diversi anni, guardando agli investimenti all’estero del fondo sovrano qatariota. Attraverso la Qatar Investment Authority, l’emirato è nell’azionariato di molte grandi aziende europee (tra cui una quota del 15,5% del gruppo Volkswagen), e possiede il 100% dei grandi magazzini londinesi Harrods, controlla la catena di supermercati inglese Sainsbury’s, senza dimenticare che il fondo è proprietario (tramite Qatar Sports Investments) della squadra di calcio di Parigi, il Paris Saint-Germain. In Italia gli investimenti si concentrano soprattutto nel settore immobiliare. Il deal più noto (stimato in circa due miliardi di euro) è stato fatto nel 2015 con l’acquisto del 100% dell’area di Porta Nuova a Milano, dove possiede anche l’hotel di lusso Excelsior Gallia. Al Qatar fanno poi capo alberghi cinque stelle a Roma (St. Regis ed Exclesior), a Firenze (Four Season e Baglioni) e a Venezia (Gritti), oltre a diversi complessi in costa Smeralda.