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Una politica di filiera per l’agroalimentare

Norme europee che non tengono conto delle specificità dei paesi membri, equilibrio tra sostenibilità economica e ambientale, aumento dell’inflazione e instabilità geopolitica. Per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, serve un piano strategico nazionale che coinvolga tutti i soggetti del sistema agroindustriale italiano. E che consenta così di salvaguardare un valore competitivo, sicuro e di qualità, che ci viene riconosciuto in tutto il mondo

Un settore che rappresenta il 25% del Pil, per un valore complessivo di 580 miliardi di euro, esportazioni per oltre 60 miliardi e un milione e 380mila occupati nel 2022. Sono i numeri del sistema agroalimentare italiano da cui Confagricoltura parte per sollecitare il riconoscimento del contributo del settore alla nostra economia, da parte della politica e anche dell’opinione pubblica.
 L’obiettivo è avviare un confronto strutturato che conduca alla costruzione di un piano strategico nazionale capace di favorire la crescita e il rafforzamento della filiera agroindustriale del paese, coinvolgendone tutti i soggetti. E rendere così il settore più produttivo, competitivo a livello globale e più trasparente verso i consumatori.
Ma molte sono le sfide da affrontare in un contesto funestato dalla guerra in Ucraina e dal rialzo dell’inflazione (+66% in molti paesi nel mondo, +30%in Germania, +40% in Polonia, +12% in Italia) con pesanti conseguenze sul carrello della spesa.


 
Un difficile contesto in cui si inserisce anche la necessità di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, illustra quanto l’Italia stia subendo le nuove norme Ue, dall’inadeguatezza della Politica agricola comune (Pac) al progetto legislativo per il ripristino della natura, dalle misure per la riduzione delle emissioni a iniziative come il Nutriscore, dall’uso dei fitofarmaci fino agli interventi sugli imballaggi.
Nel prossimo decennio la produzione agricola media globale dovrà aumentare di quali il 30%. Ma obbligare le imprese a ridurre del 10% la superficie agricola nazionale (secondo quanto previsto dalla Nature Restoration Law del Parlamento europeo) significa perdere un milione e 300mila ettari, per un valore di circa 6 miliardi e mezzo di fatturato: un grande colpo per la nostra produttività e competitività. C’è infatti da aspettarsi che altri, non in Europa, avranno la possibilità di sopperire a quanto in Italia non sarà più possibile produrre, provocando così un gap competitivo difficile da colmare.
Le norme, insiste Confagricoltura, devono accompagnare la crescita e tenere conto delle differenze e delle peculiarità dei diversi paesi membri, soprattutto alla luce del fatto che il mondo, tra guerre e pandemia, ha subito un profondo stravolgimento rispetto alla stesura del green Deal nel 2018.
In questa complessità si inserisce naturalmente anche l’urgenza di ottimizzare l’impiego delle risorse del Pnrr per supportare il settore. Il governo ha mostrato la volontà di comprendere questa necessità, visto che a fine luglio sono state apportate alcune modifiche al Piano che affideranno all’agroalimentare italiano 2 miliardi e 550 milioni di euro in più.
La via per la crescita del settore passa anche attraverso gli investimenti in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie, come dimostra il progetto Agritech che, con un finanziamento di circa 350 milioni di euro (di cui 320 da Pnrr) punta a favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, a ridurre l’impatto ambientale nell’agroalimentare e a migliorare la sicurezza, la tracciabilità e la tipicità delle filiere. Innovazione, quindi, che potrà provenire anche da tecnologie genetiche come le Tea (Tecniche di evoluzione assistita) grazie alla quali sarà possibile ridurre l’uso di prodotti chimici e garantire ai consumatori prodotti sani, sicuri e di qualità.


 

Quali sono le priorità da seguire, in un confronto costante con la politica, per procedere nella realizzazione di un piano di crescita per il sistema agroalimentare italiano?

Il settore agroalimentare ha bisogno di una strategia a lungo termine di cui non possiamo più fare a meno perché il contesto economico diventerà più sfidante.
Abbiamo un governo forte di un’ampia maggioranza politica e le risorse finanziarie per recuperare il tempo perso. Rispondendo a una nostra richiesta, il governo ha deciso di costituire un Tavolo Agroindustriale: da parte nostra è già stato presentato un documento di proposte. Per facilitare le esportazioni dei nostri prodotti, che possono crescere dagli attuali 60 miliardi di euro (nel trascorso decennio sono quasi raddoppiate) fino a 100 miliardi di euro, serve per esempio rafforzare la logistica e le infrastrutture. Con la crescita dell’export sarà possibile anche far salire il tasso di autoapprovvigionamento, fermo al 75%, producendo così nuova ricchezza e posti di lavoro.
Un altro punto per noi sensibile è quello del rafforzamento delle filiere. Scontiamo la mancanza di un confronto strutturato con le altre parti del sistema agroalimentare. Potremmo, insieme, fare molto di più per contrastare la caduta dei consumi e gestire il preoccupante disallineamento in atto tra prezzi all’origine in forte calo per i prodotti agricoli e prezzi finali al consumo.


 

Come affrontare le conseguenze dell’inflazione alimentare e riuscire a essere incisivi anche sul calo dei consumi?

Per effetto della pandemia e dell’aggressione russa all’Ucraina, tutti gli indicatori economici hanno raggiunto livelli senza precedenti: il rialzo dell’inflazione è stato di portata tale da sorprendere anche i banchieri centrali, così come anche la stretta monetaria messa in atto per frenare la corsa dei prezzi è senza precedenti. Il rischio è che le misure adottate per contrastare la spinta inflazionistica possano innescare asimmetrie negative e durature sulla crescita.
A fronte di un deciso crollo della marginalità, le aziende vengono spinte ai margini del mercato e, per reagire, sono obbligate a trasferire i maggiori costi sul prezzo del prodotto finito, con il risultato di accrescere la spinta inflattiva.
Anche i cittadini sono sotto pressione per il rialzo del costo del denaro: le famiglie con una minore capacità di spesa stanno reagendo ai maggiori oneri con la diminuzione dei consumi, compresi quelli alimentari.
I consumi sono inoltre caratterizzati dalla ricerca sistematica del prezzo più basso, che premia i discount e i prodotti a marchio del distributore. Tra digiuni a intermittenza e nuovi modelli alimentari, stiamo così assistendo ad una preoccupante contrazione degli acquisti dei nostri prodotti di maggiore qualità.
L’aumento dei tassi d’interesse, poi, pesa anche sullo Stato, perché fa salire gli oneri per il finanziamento dell’elevato debito pubblico, riducendo così le risorse spendibili per famiglie e imprese nell’ambito delle prossime leggi annuali di bilancio. È una prospettiva molto critica, considerando che la portata degli aiuti di Stato sta diventando sempre di più un fattore di competitività sul mercato unico europeo.




Guerra in Ucraina: quale è l’impatto sul settore alimentare? Con quali difficoltà attese per i prossimi mesi?

Con il rischio di recessione, gli effetti dell’aumento dei tassi d’interesse e di quelli dell’inflazione, anche alimentare, che colpisce il 66% della popolazione mondiale, con picchi persino dell’80% nei Paesi dove c’è maggiore dipendenza dalle importazioni, le preoccupazioni sono forti. Usare il cibo come strumento di pressione per allentare le sanzioni fa salire l’instabilità sui mercati internazionali e favorisce la speculazione. Tra l’aumento delle materie prime, i costi dei fertilizzanti alle stelle, lo scenario, indubbiamente, è molto critico. A questa situazione già complessa si sono aggiunti anche gli effetti dei cambiamenti climatici, di cui gli agricoltori sono le prime vittime. Occorre un sistema di norme che regolino il mercato, oltre a un dibattito serio e costruttivo in seno alla Commissione europea. Ma soprattutto serve il buon senso per considerare le necessità e le differenze negli assetti produttivi europei, modellandoli sul periodo storico che stiamo vivendo, con la guerra alle porte dell’Europa.




Come coniugare sostenibilità ambientale e sostenibilità economica? Quali sono i provvedimenti europei che rischiano di penalizzare l’Italia?

In questo contesto sarebbe logico favorire la crescita produttiva, sostenendo al contempo un modello di sviluppo che equilibri il rispetto dell’ambiente con il progresso socioeconomico. Gli obiettivi da conseguire sono fuori discussione, ma non possono essere perseguiti secondo le indicazioni della Commissione, basate su vincoli e divieti, senza considerare inoltre le differenze degli assetti produttivi a livello nazionale. In una fase in cui si discute di sicurezza alimentare a livello globale, il progetto legislativo della Commissione “Nature restauration law” determinerebbe una riduzione della superficie agricola del 10%. Per l’Italia, il taglio sarebbe di oltre un milione di ettari, con una perdita di produzione nell’ordine di 6 miliardi di euro. Su questa base, il confronto a livello europeo per raggiungere l’intesa finale non sarà agevole ma la partita resta comunque aperta, considerando che non siamo lontani dalla conclusione della legislatura europea. Sono troppe le proposte e gli orientamenti della Commissione che vanno nella direzione sbagliata. Penso al “Nutriscore” contro il quale, da soli, abbiamo intrapreso e vinto una battaglia di fronte all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Anche l’etichetta irlandese sugli alcolici è ingiustamente penalizzante per il consumo moderato e consapevole dei vini. Con gli amici di Confindustria abbiamo presentato un esposto alla Commissione per ottenere un cambio di rotta. Allo stesso modo, le proposte sugli imballaggi penalizzano l’Italia che, sulla pratica del riciclo, ha conquistato posizioni all’avanguardia in Europa. Prosegue, intenso, il nostro lavoro di contrasto insieme alle associazioni industriali di settore.
Una buona notizia è però arrivata da Bruxelles, con la presentazione della proposta di regolamento sulle tecniche di evoluzione assistita (Tea). Forse, è finita l’epoca dell’ostracismo nei confronti della ricerca scientifica e delle innovazioni.
Ora vogliamo essere messi nella condizione di produrre di più, con una minore pressione sulle risorse naturali e una crescente partecipazione del nostro settore alla decarbonizzazione dell’economia. E l’innovazione può dare un contributo determinante.


Il settore agroalimentare ha bisogno di una strategia a lungo termine: non possiamo più farne a meno


Servono investimenti strutturali e una visione lungimirante per l’agricoltura europea e italiana. Perché la Pac è attualmente uno strumento insufficiente? Quali sono le vostre richieste?

Non è questa la Pac che avremmo voluto. Le attuali risorse finanziarie assegnate sono insufficienti, meno dello 0,5% del Pil europeo. È necessario rivedere anche quella post 2027, renderla più attuale e rispondente al periodo storico che stiamo vivendo da tre anni: prima la pandemia, poi il conflitto russo-ucraino, ora gli eventi catastrofali che stanno investendo il paese. È indispensabile salvaguardare il potenziale produttivo dell’agricoltura italiana che, insieme a quella europea, è tra i più avanzati al mondo. Confagricoltura chiede con forza da tempo che la Pac torni a essere uno strumento di politica economica per gli agricoltori professionali, anche per poter continuare a garantire ai consumatori produzioni adeguate in termini di quantità, sicurezza e qualità. E ovviamente a costi accessibili, insieme a un giusto reddito per gli agricoltori. In questa fase di profonda incertezza, la riduzione delle risorse dal 15 al 20% rispetto alla precedente programmazione non è un buon segnale per il nostro settore.


 

Quale sostegno è oggi indispensabile per aiutare le aziende ad affrontare i rischi e le conseguenze del cambiamento climatico?

Gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti, basti pensare ai fenomeni estremi della scorsa estate che, tra alluvioni e grandinate al Nord e incendi al Sud, hanno falcidiato le produzioni agricole italiane. Oltretutto, abbiamo avuto molti problemi per i nostri operatori perché è complicato garantire standard di tutela del lavoro nei campi quando ci sono temperature che superano i 40 gradi. Servono misure adeguate per supportare le imprese danneggiate nella gestione delle emergenze provocate dai fenomeni naturali. Ma serve soprattutto ripensare l’agricoltura e investire in innovazione e ricerca.
In particolare, l’utilità delle Tea risulta fondamentale poiché i mutamenti climatici espongono le piante a eventi estremi, le temperature sono fortemente instabili e questo determina l’invasione di insetti alieni e patologie sempre più frequenti che le attaccano.
Qualcosa si sta facendo, ma Unione Europea e Italia sono in ritardo nello sviluppo di questo ambito, a differenza di altri paesi nel mondo dove si sta lavorando alle Tea da diversi anni.
Confagricoltura ha sempre chiesto a istituzioni e governo di supportare le imprese agricole consentendo l’accesso a ogni strumento messo a disposizione dall’innovazione per salvaguardare l’agroalimentare italiano, apprezzato in tutto il mondo. Solo così il nostro paese potrà competere ad armi pari sui mercati internazionali.


 


Tecnologie e coinvolgimento del territorio nazionale

Per supportare le aziende agricole nella transizione tecnologica e digitale, Confagricoltura ha creato Hubfarm, una piattaforma che mette in contatto le imprese del settore AgTech con il mondo della ricerca, con partner tecnologici e sviluppatori, con l’agroindustria più avanzata. Oggi Hubfarm è accessibile a tutta la rete territoriale della Confederazione, confermandosi come hub centrale per l’intero settore agricolo. Un punto di riferimento capace di promuove l’adozione di tecnologie avanzate, tra cui l’agricoltura di precisione, l’utilizzo di sensori, droni, satelliti, di big data e machine learning, con l’obiettivo di ottimizzare i raccolti, ridurre gli sprechi e migliorare la sostenibilità dell’intero settore agricolo. A questo progetto vengono inoltre affiancate collaborazioni con alcuni dei principali player nazionali in vari comparti. Bioeconomia circolare, carbon farming, agrivoltaico, parco agrisolare, biometano, impianti a biogas sono alcuni dei temi su cui, sottolinea la Confederazione, prosegue da tempo l’impegno per favorire la crescita del sistema agroalimentare e il contributo che questo settore può apportare allo sviluppo del paese.