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L'industria italiana fa ancora la differenza

Alta specializzazione e contenuta dimensione media delle imprese sono due caratteristiche che rappresentano contemporaneamente forza e debolezza del settore produttivo. A fronte di previsioni al ribasso per il Pil nazionale, un solido gruppo di aziende, in comparti chiave, potrà affrontare il futuro con combattività

A volte le differenze fanno la differenza. È questo il caso del sistema produttivo italiano che ha peculiarità proprie rispetto ai principali paesi dell’Unione Europea, paesi con cui di solito ci paragoniamo senza considerare queste differenze che, appunto, rendono il sistema Italia diverso. Ad esempio, tra le caratteristiche strutturali ci sono l’alta specializzazione produttiva e la minor dimensione media delle imprese, due peculiarità che rappresentano contemporaneamente una forza e una debolezza del settore produttivo, ma che hanno consentito un notevole grado di resilienza agli shock dalle recenti crisi, dalla pandemia alla crisi energetica, dalle guerre all’inflazione, fino agli effetti delle dinamiche demografiche.
Come rileva il Rapporto annuale 2023 di Istat, i punti di forza del sistema produttivo italiano sono le medie e piccole imprese dell’industria e quelle aziende esportatrici medio-grandi; mentre la presenza di un elevato numero di microimprese con livelli di produttività bassi, scarsa propensione all’export e all’investimento, zavorra la performance complessiva del settore.


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Manifattura, il 90% delle imprese esporta

In linea generale, quando le imprese italiane fanno parte di catene internazionali del valore, la loro competitività aumenta, così come la resilienza agli shock, cosa che in parte può sorprendere, in un momento in cui, dopo la pandemia, si è spesso parlato di fine della globalizzazione e della necessità di spezzare supply chain molto lunghe, proprio per limitare la trasmissione degli shock lungo tutta la filiera.
L’Italia nel contesto europeo, con oltre 3,6 milioni di aziende, rappresenta il 16% delle imprese dell’industria e dei servizi di tutto il territorio dell’Unione. Il nostro sistema produttivo ha peraltro una presenza diffusa superiore a quella di Francia, Spagna e Germania. Proprio con la Germania l’Italia condivide un sistema produttivo manifatturiero, giacché oltre un terzo del valore aggiunto prodotto dalle imprese italiane attive nell’industria e dei servizi proviene dalla manifattura. Seguono il commercio e le attività professionali scientifiche e tecniche.
Lo storico punto di forza della manifattura italiana è l’export: nelle imprese medio-grandi (da 50 a più di 250 addetti) oltre il 90% esporta le proprie merci sui mercati internazionali, ma anche l’incidenza delle imprese esportatrici nella classe delle piccole imprese (10-49 addetti) è importante e va oltre il 50%, meglio di Germania e Francia.

L’élite del capitalismo italiano

È interessante concentrarsi quindi sulla parte più virtuosa e che fa davvero la differenza, cioè il cosiddetto IV Capitalismo Italiano, secondo la definizione dell’Area Studi di Mediobanca, cioè la fascia dimensionale intermedia delle imprese, a controllo italiano e prevalentemente familiare, del comparto manifatturiero, compresa tra le piccole aziende e i grandi gruppi, ovvero quelle imprese piccole e medie con un volume di vendite tra 17 e 370 milioni di euro e la prima fascia delle grandi imprese, con un fatturato fino ai tre miliardi di euro.
Rispetto al periodo pre-pandemico e all’esordio dell’invasione russa dell’Ucraina, le imprese del comparto manifatturiero, secondo le rilevazioni di Mediobanca, hanno “subito i cambiamenti” percependoli come rischi più che opportunità; la competizione internazionale è stata percepita “più aggressiva”, nonostante il gradimento verso il made in Italy sia sentito in aumento da circa un quarto delle imprese del IV Capitalismo. Guardando al futuro, il 25% delle imprese ritiene che la propria quota di mercato potrà “crescere significativamente nei prossimi anni”; ben il 54% prevede “un incremento contenuto”; il 21% si attende di “mantenere il proprio peso stabile o di ridurlo lievemente” e solo lo 0,2% si attende “un calo significativo”. Questi dati mostrano la fiducia con cui le imprese migliori del nostro sistema produttivo si approcciano a uno scenario di mercato che non si annuncia certo semplice.


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I problemi del Pil nazionale

Guardando le previsioni di Istat, il Pil italiano è atteso in crescita dello 0,7% sia nel 2023 sia nel 2024, in netto rallentamento rispetto al 2022, quando il dato volava, toccando il 3,7%. Nel biennio 2023-2024, a spingere il prodotto interno lordo sarebbe soprattutto la domanda interna, al netto delle scorte: una crescita asfittica dello 0,8% per il 2023 appena finito e dello 0,7% per l’anno in corso. Il contributo della domanda estera netta, invece, sarebbe marginalmente negativo nel 2023 (-0,1%) e piatto nel 2024. Una domanda interna, peraltro, trainata principalmente dai consumi privati, che cresceranno dell’1,4% nel 2023 e dell’1% nel 2024, salvo aggiustamenti che inevitabilmente ci saranno durante l’anno. I consumi saranno a loro volta sostenuti dalla decelerazione dell’inflazione e da un graduale, seppur solo parziale, recupero delle retribuzioni e dell’occupazione. Male, invece, gli investimenti, in discesa verticale rispetto al biennio precedente: appena +0,6% sia 2023 sia 2024, contro il +9,7% del 2022 e il dato totalmente fuori scala del 2021 (+20,7%).

Sale il fatturato... ma aumentano anche i rischi

In parziale bilanciamento con le previsioni di Istat, Intesa Sanpaolo e Prometeia, nel loro studio sull’industria, rilevano che, se è vero che i segnali di difficoltà emergono anche dagli investimenti nel comparto delle Costruzioni, a causa della fine degli incentivi fiscali e del rialzo dei tassi, i livelli restano comunque elevati, con un incremento del 31,5% rispetto al primo semestre del 2019, sostenuti dal “buon dinamismo del mercato delle opere pubbliche”. Gli investimenti in beni strumentali sono rimasti in territorio positivo anche nel corso del 2023, grazie alla componente Mezzi di trasporto.
Guardando al fatturato, e cercando di fare qualche previsione, il giro d’affari dell’industria manifatturiera italiana, al netto dell’inflazione, potrà arrivare a crescere dello 0,5% nell’anno in corso, per poi accelerare al +1,3% nel 2025.
Numeri da prendere con le molle, visto il clima di grande incertezza di questi anni. Si tratta comunque di una crescita inferiore a quella del biennio 2021-2022, hanno ricordato gli analisti di Prometeia, che sarà peraltro condizionata dalle politiche monetarie e soggetta a rischi al ribasso per via delle tensioni geopolitiche.


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La doppia trazione digitale ed energetica

I settori che nel biennio 2024-2025 performeranno meglio sono quelli caratterizzati dalla cosiddetta doppia trazione, digitale ed energetica. Secondo Intesa-Prometeia, gli investimenti in beni strumentali continueranno a crescere, anche se in modo meno brillante rispetto al passato, penalizzati dal peggioramento delle condizioni dal lato della domanda e dai costi di finanziamento più elevati.
I fondi europei continueranno a sostenere gli impieghi soprattutto nel settore tecnologico e delle telecomunicazioni, ma anche del comparto energetico: uno scatto potrebbe esserci nel 2025, alla luce della rimodulazione degli obiettivi del Pnrr, che rinvia alcuni investimenti previsti. In cima al ranking di crescita 2024-2025 ci sono, appunto, l’Elettronica, con un fatturato deflazionato in crescita del 3,4% medio annuo; l’Elettrotecnica (+2%) e la Meccanica (+1,5%). Positiva anche la previsione per Autoveicoli e moto, comparto previsto in crescita a un ritmo medio annuo dell’1,4%.