Oro: un enigma che dura da millenni
Oro. Comunque lo si legga, da destra o da sinistra, quello rimane nei palindromi della nostra lingua. E quello è rimasto per secoli, addirittura per millenni, da quando l’uomo ha assunto le competenze per fonderlo e modellarlo a suo piacimento: simbolo di divinità, bellezza e potere, merce di scambio e strumento di risparmio, ultimo bene rifugio, poi domani chissà. Funzioni diverse che si sono intervallate nel corso del tempo, spesso sovrapponendosi fra di loro, facendo emergere una duttilità e una capacità di trasformazione unica nel suo genere. Per molti è un mistero: com’è possibile che un semplice metallo abbia assunto in tutte le epoche, e in pressoché tutte le civiltà, un ruolo così centrale nella vita sociale ed economica dell’essere umano? La bellezza intrinseca (e innegabile) del materiale può essere una prima risposta, ma non giustifica una persistenza che è riuscita a travalicare i confini geografici e temporali. Pure quella dell’uso industriale appare una motivazione riduttiva, non in grado di legittimare il valore di un metallo che è andato crescendo nel corso del tempo, seppur fra innumerevoli oscillazioni.
La risposta evidentemente sta in altro. E secondo Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Ivass, risiede nella fiducia che l’oro “sempre e ovunque, nel presente e nel futuro, potrà essere scambiato”. L’ipotesi è raccolta in un volumetto di appena 131 pagine, pubblicato all’inizio di quest’anno dalla casa editrice Il Mulino. Il titolo è semplice e va dritto al nocciolo della questione: Oro, senza tanti giri di parole.
Di taglio prettamente divulgativo, il libro punta a offrire una panoramica generale ma esaustiva sulle innumerevoli funzioni che il metallo più prezioso ha assunto nel corso del tempo. Il punto di vista è invece quello dell’autore, ossia quello di un addetto ai lavori che ha varcato i cancelli della Banca d’Italia nell’ormai lontano 1976. E che lì è poi rimasto con mansioni di crescente responsabilità. Il volume comincia proprio da lì, con una storiella (inventata ma non troppo) sulle contromisure prese nel 1943 dalla banca centrale nazionale per evitare che i tedeschi, diventati nemici dopo l’armistizio, si impossessassero dell’oro custodito nei sotterranei di Via Nazionale. Un semplice aneddoto utile a far comprendere il valore che questo metallo ha assunto nel corso del tempo: se in piena guerra ci si incaponisce nel custodire tonnellate e tonnellate di semplice metallo, preservandolo così dalla razzia degli invasori, alla fine tanto semplice quel metallo non deve essere.
La storia dell’oro, così come raccontata dall’autore, si intreccia inevitabilmente con quella del denaro. Dapprima quasi come sinonimi, con la coniazione di monete in metallo pregiato, poi in maniera sempre più rarefatta: dal gold standard, e quindi dalla convertibilità del denaro in oro, fino agli accordi di Bretton Woods nel 1944, per poi passare alla rivoluzione dello Smithsonian agreement nel 1971 e approdare alla situazione attuale di un denaro completamente fiduciario. Il futuro, secondo molti, sarà dominato da monete virtuali, bitcoin e figli più o meno legittimi, che saranno sempre più slegati dal valore dell’oro.
Eppure, nonostante ciò, la domanda di oro continua ad aumentare. E zeppi di oro continuano a essere i forzieri e i caveaux delle moderne banche centrali. Perché? Perché nell’epoca del denaro completamente fiduciario, affrancati da quel gold standard che John Maynard Keynes era arrivato a definire “un relitto barbarico”, ci si ostina a chiedere e accumulare oro? Perché, scrive Salvatore Rossi, l’oro “è come l’argenteria di famiglia, è come l’orologio prezioso del nonno, è l’estrema risorsa in caso di crisi, di una qualsivoglia crisi che faccia venir meno la fiducia internazionale nei confronti del paese”. L’oro è ormai diventato il bene rifugio per eccellenza. E lo è diventato proprio sulla base di quella fiducia che, secondo l’autore, è in grado di sciogliere l’arcano: l’oro potrà sempre essere scambiato.
Difficile dire cosa ci riserverà il futuro. Magari, come accennato, l’economia dei prossimi anni sarà davvero dominata da monete virtuali, da stringhe di codice e algoritmi che poco e nulla hanno a che fare con metalli preziosi (a parte forse le terre rare che sono alla base dei nostri hardware). Eppure l’oro pare destinato a durare ancora a lungo. Almeno finché l’uomo vorrà riconoscere un valore a questo particolare metallo.