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Il clima fa fallire le banche

Il sistema finanziario è tremendamente esposto alle conseguenze del climate change e il rischio è sottostimarlo. Lo sostengono quattro ricercatori italiani in un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change

Escludere il sistema finanziario da una valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici potrebbe portare a una loro sottostima, mentre la regolamentazione finanziaria potrebbe avere un ruolo fra le possibili strategie di mitigazione e adattamento. È questa la tesi di un recente studio pubblicato da quattro ricercatori italiani sulla rivista scientifica Nature Climate Change, in cui si analizza come e in che misura i cambiamenti climatici rischiano di minare la stabilità del sistema finanziario globale. L’articolo di Francesco Lamperti, Valentina Bosetti, Andrea Roventini e Massimo Tavoni è frutto della collaborazione di un team internazionale di ricercatori che comprende autori del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, di Rff-Cmcc European Institute on Economics, dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, dell’Università Bocconi del Politecnico di Milano. Numeri alla mano, i fallimenti di molte banche e i tentativi di salvataggio dei governi, saranno le conseguenze dirette dei danni alle infrastrutture causati da eventi estremi, come frane e alluvioni. Questi eventi si uniranno al calo di produttività delle imprese facendo esplodere il fenomeno. Lo studio, The public costs of climate-induced financial instability, quantifica il problema: la frequenza dei fallimenti delle banche aumenterebbe in una forbice (molto ampia) tra il +26% e il +248%, mentre il salvataggio di quelle insolventi costerebbe ai governi circa il 5-15% del Pil all’anno, con un innalzamento del debito pubblico globale che potrebbe arrivare a raddoppiare nel 2100.

Un terreno ancora inesplorato 

Alla base della ricerca c’è lo sforzo di capire quanto gli impatti dei cambiamenti climatici influenzino il settore bancario e la crescita economica, e dai risultati appare chiaro che mentre la probabilità di sopravvivenza delle imprese si riduce di circa tre volte, il rischio di fallimento delle banche arriva a raddoppiare. Questo, a sua volta, implica dei costi ulteriori per la finanza pubblica. La ricerca dimostra che il 20% della riduzione della crescita non sarà attribuibile agli impatti diretti dei cambiamenti climatici ma al canale finanziario, cioè agli effetti, ancora inesplorati, sul sistema bancario. Ma cosa si può fare per ridurre la minaccia? In presenza di impatti da cambiamento climatico, dicono i ricercatori, il regolamentatore finanziario può richiedere alle banche di fissare un limite ai prestiti erogati alle imprese che tenga conto anche dell’andamento del clima, così da minimizzare i rischi cui il sistema finanziario si espone. L’approccio utilizzato nello studio prevede l’uso di un modello ad agenti eterogenei (agent-based), che permette di descrivere il sistema economico a livello di singoli attori, cioè le imprese, le banche, i decisori politici, esposti ai danni dei cambiamenti climatici, che derivano in maniera endogena dalle emissioni dell’economia. Date le incertezze relative sia alle proiezioni future delle emissioni sia dei danni macroeconomici associati al cambiamento climatico, sono stati presi in esame diversi scenari di emissione e diverse ipotesi di impatto, per mostrare quanto i risultati fossero robusti per queste diverse assunzioni.