il-cambiamento-climatico-entra-in-azienda

Il cambiamento climatico entra in azienda

Una ricerca di Dnv su 1200 clienti ha analizzato l’approccio verso il climate change e gli strumenti adottati per aumentare la resilienza dell’impresa. Cresce la sensibilità al rischio, che coinvolge l’intera catena del valore, ma le forme di adattamento aspettano spesso norme e incentivi

Oggi la domanda non è più, come fino a pochi anni fa, se il cambiamento climatico esiste, ma in che modo impatterà sulla nostra vita quotidiana o sui business aziendali: gli eventi meteorologici estremi si sono moltiplicati in molte zone del pianeta e la forza crescente di inondazioni, tempeste, uragani, fa da contraltare alla devastante siccità in altre aree della Terra. L’imprevedibilità e la violenza di tali effetti impatta in modo sensibile sui sistemi produttivi mondiali: con questa consapevolezza Dnv GL ha condotto con Gfk Eurisko nel 2017 un sondaggio internazionale tra 1241 imprese clienti per indagare il livello di preparazione nell’affrontare il cambiamento del clima.
Pur in presenza di una percentuale non trascurabile di aziende che sembrano non cogliere il problema, sono in crescita i manager interessati a capire l’impatto di tali rischi sull’attività della propria impresa e a mettere in atto iniziative per aumentare la resilienza del business.

I rischi climatici più temuti
A livello mondiale, poco meno del 98% degli intervistati sostiene di aver subìto le conseguenze di almeno un evento meteo estremo o ritiene di poterne essere vittima a breve. Secondo quanto emerge, i rischi più temuti in termini di impatto sono l’innalzamento delle temperature e le ondate di calore (55%), seguite da tempeste (44%) ed esondazioni (38%), più distanziati siccità (19%), innalzamento del livello del mare (18%), incendi (12%), frane e smottamenti (11%) e acidificazione delle acque marine (7%).
Focalizzando sulle imprese italiane, le minacce più temute vedono sempre al primo posto l’innalzamento delle temperature e le ondate di calore (73%), tempeste (31%), siccità (31%), alluvioni (29%), incendi (14%), innalzamento del livello medio del mare (12%), frane e smottamenti (11%) e acidificazione delle acque marine (5%).

Più sono gli asset, più cresce la vulnerabilità
È chiaro agli intervistati che l’attenzione verso le conseguenze del cambiamento climatico non può riguardare solo il perimetro più o meno ristretto della propria azienda ma deve essere estesa a tutta la catena del valore. Si amplifica così l’esposizione del business, perché quanto più la ramificazione è estesa tanto maggiori sono i rischi d’impatto, e diversi per tipologia a seconda della collocazione geografica. Gli effetti sono visibili oggi per il 25% degli intervistati, secondo cui almeno un’area della loro value chain è già stata colpita, per il 46% una o più aree saranno coinvolte nei prossimi 5 anni, mentre il 60% ritiene di dover far sicuramente fronte a questa minaccia nei prossimi 10 anni. Nel dettaglio, il 17% degli intervistati ha rilevato impatti sulle proprie operazioni, il 13% su mercati e clienti, il 12% sulla supply chain e oltre il 10% sulle proprie strutture aziendali, di contro sono il 17% gli “ottimisti” che ritengono che gli eventi climatici estremi non avranno conseguenze negative sulle proprie risorse.


Da norme e tutela del business la spinta all’adeguamento
La consapevolezza della fragilità del business di fronte alla forza della natura impone alle imprese di adottare misure per aumentare la propria resilienza. In Italia quelle che hanno già intrapreso azioni concrete di adattamento sono il 19% delle intervistate (25% il dato medio mondiale), il 14% sta pianificando una o più azioni, il 36% ne prevede l’attuazione entro tre anni, e un altro 30% circa ha deciso per ora di astenersi da ogni attività contenitiva del rischio. Alla scelta di adattamento resistono delle barriere che per il 36% delle aziende consistono o nella previsione di un basso impatto del rischio climatico sulla propria value chain, o nell’assenza di politiche specifiche o incentivi a sostegno degli sforzi necessari all’adeguamento; per il 31% inoltre è proprio il costo degli interventi il primo freno ad ogni azione. Per chi invece ha deciso di reagire e di sviluppare azioni di resilienza, la spinta principale deriva dalla volontà di tutelare il proprio business (52%), seguita dalla necessità di compliance normativa (49%); da notare che per il 40% delle aziende uno dei driver sono la responsabilità sociale e l’opinione pubblica, mentre l’esplicita richiesta di adeguamento proveniente da clienti è citata dal 34% del campione italiano.