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Imprese a prova di terremoto

La resilienza sismica di un fabbricato non dipende solo dalle sue caratteristiche costruttive ma anche dagli elementi non strutturali, spesso sottovalutati. La buona notizia è che intervenire è più semplice

Secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) il 44% del territorio italiano è classificato ad alto rischio sismico, e mediamente ogni 5 anni si registra un terremoto di magnitudo superiore a 6.3. Sono 5,5 milioni gli edifici esposti a questo rischio. Il problema è che la maggior parte (60%) di essi sono stati costruiti prima del 1974, anno di entrata in vigore della normativa antisismica per le nuove costruzioni, e oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione. Sono numeri allarmanti, e una delle motivazioni alla base delle conseguenze catastrofiche dei terremoti degli ultimi anni. 

Se l’intervento sulle abitazioni private è responsabilità del singolo, aumentare la resilienza sismica delle strutture commerciali e industriali è da parte di chi gestisce l’impresa non solo un atto di protezione del proprio patrimonio ma soprattutto di responsabilità nei confronti dei lavoratori e della comunità intera. Lo ha dimostrato il terremoto dell’Emilia nel 2012, a seguito del quale oltre 20.000 persone si sono ritrovate senza lavoro. 

Quando si pensa alla sicurezza degli edifici, le prime immagini che vengono alla mente sono quelle di muri crollati e tetti collassati, ma gli elementi non strutturali (sistemi di stoccaggio dei beni, attrezzature, impianti, etc) possono avere un peso anche maggiore sulla conta finale delle perdite. “Il rischio sismico nelle strutture produttive è legato principalmente ai danni ai beni, al fermo della produzione e alla sicurezza delle persone” ha spiegato Alberto Casagrande, global account manager di Hilti Italia - azienda che produce tecnologie e servizi per l’edilizia - durante il suo intervento al convegno Anra del 19/20 settembre. “La rilevanza dei costi non strutturali è notevole” ha aggiunto “ricopre sul totale una percentuale che varia tra l’82% per gli uffici al 94% negli ospedali”. Nonostante siano dati noti da tempo agli addetti ai lavori, il legislatore ha cominciato a porvi attenzione soltanto nel 2003, anno in cui sono state introdotte norme e standard antisismici riguardanti gli elementi non strutturali degli edifici. Ancorare le scaffalature o applicare staffaggi sismo-resistenti agli impianti antincendio – solo per citare un paio di esempi - sono interventi che non richiedono fermi operativi e, spiega Casagrande “incidono sul costo totale degli impianti per una percentuale irrisoria, che varia dal 2,33% al 3,30%”. Si tratta quindi di misure semplici e poco costose, che però permettono di minimizzare il rischio e aumentare la sicurezza dell’impresa.