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Turchia-Siria, il terremoto cambia la geografia (e scuote la politica)

Quello del 6 febbraio scorso è il quinto evento sismico più potente degli ultimi vent’anni, in una zona già martoriata nel passato recente da questi eventi, ma dove i crolli di edifici e i morti (al momento più di 45mila) sono stati eclatanti anche a causa di una legislazione lassista che alla sicurezza ha preferito i condoni

Valutato in base all’intensità sismica della scossa, il violento terremoto che lo scorso 6 febbraio ha colpito Siria e Turchia è stato il quinto sisma per magnitudo dal 2000 a oggi. L’evento, che ha avuto epicentro a circa 30 km da Gaziantep, una delle più grandi città della Turchia, è stato misurato con una magnitudo di 7.9 gradi della scala Richter. Parlando con l’Ansa, il sismologo Alessandro Amato, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), ha affermato che la scossa è stata 1.000 volte più forte rispetto a quella che nel 2016 ha colpito Amatrice e 30 volte più forte rispetto a quella dell’Irpinia del 1980.

L’Arabia si sta spostando verso l’Europa

Come quasi sempre accade, nelle ore successiva una nuova scossa, di magnitudo 7.5, ha colpito Elbistan, a circa 100 km di distanza da Gaziantep. La Turchia si trova in una zona altamente sismica attraversata da numerosi sistemi di faglia, e il violento sisma che ha colpito Turchia e Siria si è verificato all’intersezione di tre placche tettoniche: quella anatolica, quella araba e quella africana. Il movimento delle placche ne aumenta la pressione lungo i confini, con un rilascio improvviso che scuote la crosta terrestre. E poiché l’Arabia si sta spostando verso Nord, cioè verso il continente europeo, si genera uno slittamento verso ovest della placca anatolica, su cui si trova la Turchia. Il sisma si è verificato su una delle principali faglie che segnano i confini tra la placca anatolica e quella araba, la faglia dell’Anatolia orientale. Secondo Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv, questa è “una delle più attive nel Medio Oriente, insieme a quella del Mar Morto che attraversa Siria, Libano Israele e Giordania e che separa la placca Araba da quella Africana”.

La conta delle vittime

Venendo invece al triste capitolo della conta dei morti, al momento in cui scriviamo sono più di 45mila le persone che hanno perso la vita a causa dei crolli provocati dal sisma. Proprio a questo proposito le polemiche non sono mancate. In primo luogo per la lentezza dei soccorsi (ammessa a denti stretti anche dallo stesso presidente turco Recepp Tayyip Erdogan), ma anche per la qualità con cui sono stati costruiti gli edifici. Quando la Turchia fu colpita da un altro violento terremoto, nel 1999, la colpa dell’elevato numero di morti venne attribuita “agli appaltatori che usarono materiali scadenti, ai funzionari che non fecero rispettare i blandi codici in materia di costruzioni e, naturalmente, al governo di allora, che non riuscì a produrre una strategia di risposta nazionale”, ha ricordato Asli Aydintasbas sul Washington Post. Furono proprio la rabbia per questa gestione e il desiderio di cambiamento che ne conseguì a dare avvio alla parabola dell’Akp (il partito di Erdogan) che ha fatto degli investimenti in infrastrutture un punto centrale del programma di governo.

La legislazione antisismica turca

Da allora la Turchia ha dovuto aspettare fino al 2018 per l’approvazione di una legislazione specifica sulle costruzioni in aree sismiche, che però secondo Aydintasbas è stata largamente ignorata. Secondo un’inchiesta pubblicata dalla Bbc sono crollati anche edifici costruiti solo un anno fa, la cui vendita veniva pubblicizzata proprio vantando la resistenza agli eventi sismici. Ma vale la pena di ricordare anche e soprattutto i numerosi condoni edilizi (l’ultimo nel 2018) approvati dal governo turco per legalizzare i casi di costruzioni recenti che non rispettavano gli standard previsti per legge. Secondo la Bbc nella zona colpita dal terremoto sono 75mila gli edifici che hanno beneficiato di questi condoni, e proprio pochi giorni prima della catastrofe i media turchi avevano annunciato l’imminente ufficializzazione di un nuovo condono.

La situazione in Siria

Oltre alla turca Gaziantep, tra le zone più colpite c’è la città di Aleppo in Siria e la zona di Iblib, ultima sacca dei ribelli anti-Assad. Nelle zone sotto il controllo del governo di Damasco hanno iniziato immediatamente ad affluire i soccorsi e gli aiuti, che sono però complicati dalle sanzioni cui la Siria è sottoposta. Proprio su questo tema si è sviluppato un dibattito. Secondo alcuni sarebbero le sanzioni a impedire i soccorsi alle popolazioni terremotate, mentre altri puntano il dito contro il regime di Bashar al-Assad. Il Wall Street Journal ha riportato una nota dell’ufficio stampa del Dipartimento di Stato americano che specifica come il regime sanzionatorio preveda delle esenzioni per gli interventi umanitari. La questione ha un importante risvolto politico, perché Assad sta evidentemente cercando di cogliere l’opportunità del terremoto per ottenere il reintegro nel sistema internazionale, a partire dalle relazioni con i paesi arabi.
Diversa, e decisamente più tragica, la situazione a Idlib, area che viveva una situazione catastrofica già prima del terremoto perché costantemente bersagliata dalle forze governative siriane e dai loro alleati russi. Far arrivare qui gli aiuti è diventato ancora più difficile, perché subito dopo il sisma la Turchia ha chiuso il varco di frontiera di Bab al-Hawa, l’unico sul quale potevano transitare i rifornimenti umanitari, e solo un convoglio di aiuti delle Nazioni Unite è riuscito a raggiungere l’area.

Indonesia e Giappone, altre aree ad elevato rischio

Tornando a parlare della potenza del sisma, il terremoto dello scorso 6 febbraio è il quinto più potente da vent’anni a questa parte. L’evento più forte registrato nella nostra storia recente è quello che, con una magnitudo di 9,1 ed epicentro nell’Oceano Indiano, ha colpito l’Indonesia il 26 dicembre del 2004. Per l’intensità della scossa e la devastazione causata dal conseguente maremoto, l’evento viene ricordato come uno dei più disastrosi dell’ultimo secolo, con più di 750mila fra morti, feriti e dispersi, e fra i tre e i cinque milioni gli sfollati.
Solo un anno dopo l’Indonesia venne colpita da un altro terremoto, questa volta generato al largo della costa occidentale del nord di Sumatra. Con una magnitudo di 8.6, le scosse causarono fra i 900 e i 1300 morti. Come il terremoto indonesiano del 2004, anche quello in Giappone nel 2011 generò un maremoto: quello che distrusse i generatori che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Fukushima. Con una magnitudo di 9,1 il terremoto provocò più di 19mila morti accertati.