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Russia, l’altro fronte di guerra: le sanzioni

Le misure messe in campo da Usa, Ue e Giappone per punire Mosca dopo l’aggressione all’Ucraina si stanno rivelando sempre più efficaci. Più che lo Swift, è il blocco delle riserve in dollari della Banca Centrale Russa ad aver fatto più male. Il Paese è sull’orlo del crack

Nell’impossibilità di adottare l’impiego degli eserciti Nato per fermare l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, la via delle sanzioni si sta comunque rivelando un’arma efficace, se non altro in grado di assestare danni importanti all’economia del gigante euroasiatico. La probabilità di default della Russia, infatti, è su livelli di guardia. Secondo Bloomberg, che cita i dati di Ice Data services, la principale camera di compensazione per i credit-default swap (Cds) europei, le probabilità di un default implicite nel costo delle assicurazioni sul debito, i Cds appunto, hanno toccato il livello record dell'80%.

La scorsa settimana la commissione 'upfront' chiesta dal mercato era di quattro milioni di dollari. Ora i Cds che assicurano 10 milioni di dollari di debito russo per cinque anni costano 5,8 milioni di dollari di commissione iniziale, a cui si aggiungono 100 mila dollari all’anno.

Un decreto di Putin consente a Mosca di rimborsare in rubli i bond governativi russi denominati in valute estere nel caso in cui i titolari appartengano a Paesi che hanno sanzionato la Russia. Ma non tutti i regolamenti dei bond in valuta estera offrono questa possibilità: per queste obbligazioni, in caso di pagamento in rubli, si potrebbe verificare un “trigger event”, cioè un evento che determina il default e che permette ai titolari dei Cds di farsi rimborsare dalla loro controparte. Tra i bond che non consentono il pagamento in rubli figurano alcuni bond in scadenza il prossimo 16 marzo su cui devono essere pagare cedole per 117 milioni di dollari.

SCRICCHIOLA ANCHE IL SETTORE PRIVATO

S&P Global Ratings ha abbassato il rating sovrano della Russia al livello BB+, poco sopra la soglia per essere considerato “spazzatura”. Decisione a cui ha fatto seguito anche il declassamento da parte di Moody’s e Fitch. Ciò significa che la posizione finanziaria del Cremlino non sembra più così solida; lo dimostra lo spread sui bund tedeschi, che nelle ultime settimane si è impennato raggiungendo il livello di oltre 1260 punti base.

Anche per il rischio default del settore privato è alto. Sulle borse estere il crollo delle aziende quotate russe è stato evidente. Il gigante russo di internet Yandex ha perso metà del loro valore a Wall Street. Mentre le azioni quotate a Londra delle due maggiori società russe per valore di mercato, Sberbank e Gazprom, sono scese rispettivamente del 74,6% e del 37,9%. In particolare Sberbank, la più grande banca della Russia ha visto volare i contratti Cds, che fungono da assicurazione dal rischio default, a quasi 2.400, da circa 750 dov'erano a inizio mese. E pur non essendo tra gli istituti bancari russi esclusi da Swift, ha annunciato l’abbandono dei mercati europei non essendo più in grado di garantire liquidità ai suoi clienti.

QUALI SONO LE SANZIONI PIÚ EFFICACI

La domanda ricorrente di molti è: per quanto può resistere la Russia sotto il peso delle sanzioni? Per mesi la disconnessione della Russia dal sistema di pagamenti internazionale Swift è stata definita come la madre di tutte le sanzioni, una “bomba nucleare” finanziaria. Ma è col blocco delle riserve in valuta estera della Banca Centrale Russa che l’Occidente ha colpito Mosca dove più fa male.

Come ricorda l’analista Alberto Guidi sul sito dell’Ispi, dal 2014, la Russia ha implementato politiche economiche volte ad accrescere le dimensioni di queste sue riserve e a renderle meno dipendenti dal dollaro. Si è così passati dai 509 miliardi del 2014, di cui il 40% era in dollari, ai 630 miliardi attuali di cui solo il 16% è in valuta statunitense.

“L’obiettivo di Mosca – scrive Guidi – era quello di poter contare su fondi sufficienti per sostenere il rublo in caso di difficoltà e su liquidità con cui aiutare il proprio sistema bancario. Come fece tra il 2014 e 2015 quando di fronte alle sanzioni occidentali dovute all’annessione della Crimea, la Banca Centrale Russa si trovò costretta a utilizzare 170 miliardi di dollari dalle sue riserve di valuta internazionale, che diminuirono così del 32%”.

Il nuovo pacchetto di misure deciso da Usa, Ue e Giappone va espressamente a limitare questa possibilità. Non solo è impedito alla Banca Centrale di vendere le sue riserve in dollari, euro o yen, pari al 54% delle sue riserve totali. Ma sono bloccate anche le riserve che non siano in queste tre valute ma che sono depositate presso i paesi che hanno applicato le sanzioni, una percentuale di nuovo vicina al 50%. E così la Banca di Russia ha dovuto ricorrere ad altri strumenti monetari. Tra questi, ricorda Guidi, il tasso di interesse chiave (il tasso al quale una banca centrale presta denaro ad altre banche) che è stato più che raddoppiato: dal 9,5 al 20%, nuovo record di sempre. “Un aumento che però non è indolore per i cittadini russi dato che si tradurrà in un aumento dei tassi di mutui e prestiti”.
Parallelamente il Cremlino ha introdotto una serie di nuove misure per scongiurare una crisi di liquidità. In particolare, ai cittadini russi è ora vietato spostare denaro all’estero o lasciare il paese con più di 10mila dollari (o l’equivalente in altra valuta estera). Agli esportatori è stato ordinato di cambiare l'80% delle loro entrate in valuta estera in rubli e agli investitori stranieri è temporaneamente impedito di vendere gli asset russi in loro possesso. Non è però bastato a evitare un crollo del rublo.

Prima dell’inizio della guerra in Ucraina per comprare un dollaro servivano circa 80 rubli. Ora 117: un calo del 40% che segnala una fragilità ormai consolidata della valuta russa a partire dalla guerra in Crimea. In questi otto anni, ha perso quasi un quarto del suo valore e continua a toccare nuovi minimi storici. Tanto che le contrattazioni sulla Borsa di Mosca sono ancora chiuse.