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L’inesorabile cammino del costo del denaro

Il rialzo dei tassi d’interesse operato dalle banche centrali, al momento, non riesce ad alleviare significativamente il peso dell’inflazione, soprattutto in Europa. I progetti di spesa e investimento di famiglie e imprese sono al palo

Dopo anni di inflazione sotto il livello target, la grande ripresa del 2021 ha surriscaldato le economie internazionali riaccendendo dinamiche inflattive. Ad aprile 2021 l’inflazione americana era già oltre il 4%, con quella europea ancora al di sotto del livello target del 2%. L’inflazione americana è rimasta più alta di quella europea fino a luglio 2022, quando entrambi i tassi d’inflazione hanno raggiunto valori intorno all’8%. In seguito, quella europea si è posizionata su un livello più elevato rispetto alla statunitense.
Come hanno reagito le banche centrali? La Fed ha anticipato la Bce quando, a marzo 2022, ha alzato di 25 punti il tasso d’interesse: la Banca centrale europea si è mossa soltanto due mesi dopo. Da allora la Fed ha rialzato i tassi per nove volte, con la Bce che la imitava: la Fed alzava di 75 punti e la Bce faceva altrettanto. Questo meccanismo si è interrotto nel giugno scorso quando, per la prima volta, la Fed si è presa una pausa mentre la Bce ha continuato ad aumentare il tasso d’interesse.
Cos’è successo? Il giorno prima della decisione di non alzare i tassi da parte della Fed era uscito il dato dell’inflazione americana, scesa quasi di un punto percentuale, dal 4,9% al 4%, cosa che rendeva difficoltoso perseverare con un ulteriore rialzo in concomitanza di un sensibile calo inflattivo. L’inflazione dell’Area Euro è invece rimasta elevata, al 6,1%, tanto che la Bce non solo ha optato per un nuovo rialzo, ma ha anche annunciato un ulteriore aumento, qualora il contesto europeo, in particolare la questione salariale, dovesse esercitare pressioni sull’inflazione.


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Quali conseguenze dal rialzo dei tassi?

Se i tassi d’interesse continueranno a crescere il loro effetto sulle aspettative degli operatori finanziari sarà difficilmente rimarginabile. Inoltre, elevati tassi d’interesse significano mutui più costosi, che rallentano la dinamica del mercato immobiliare ma, soprattutto, mettono a repentaglio la capacità delle famiglie di sostenerli e incidono di riflesso sulla loro propensione marginale al consumo. Con il rischio di alimentare una spirale negativa.
Sul fronte delle imprese, invece, la diacronia delle due politiche monetarie ha contribuito all’apprezzamento dell’euro, cresciuto a 1,09, avvantaggiando così la bilancia commerciale a stelle e strisce in un momento nel quale i prezzi dei prodotti energetici sono crollati. Dal lato europeo sembra che la Bce, innalzando il tasso, non abbia considerato appieno il fatto che la Germania è in recessione tecnica, con inevitabili implicazioni sulle economie dei paesi, come l’Italia, per i quali quello tedesco rappresenta il primo mercato di esportazione. Al contempo, l’incremento del costo del denaro è destinato a riflettersi negativamente sulla propensione agli investimenti, in una fase di cruciale evoluzione degli scenari di mercato.
In generale, l’ostinato incedere di entrambe le banche centrali sembra essere stata l’unica risposta all’inflazione ma, al momento, l’aumento del tasso d’interesse e una politica monetaria restrittiva non riescono ad alleviare in modo deciso l’inflazione core frenando, invece, i progetti di spesa e investimento di famiglie e imprese. 

Sembra che la Bce, innalzando il tasso, non abbia considerato appieno il fatto che la Germania è in recessione tecnica