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Nuovo bilancio di sostenibilità: rivoluzione o incubo?

Sulla nuova informativa non finanziaria europea si stanno confrontando due scuole di pensiero: da un lato ambientalisti, sindacati, B Corp e istituzioni finanziarie in favore di standard obbligatori per tutti, dall’altro le grandi aziende che vogliono scegliere i propri, in maniera flessibile

Il passaggio a un’economia rispettosa di persone e natura richiede ingenti investimenti che nessun Governo può sostenere: ci vogliono gli investimenti privati. La Theory of change dell’Ue è che la rendicontazione di sostenibilità indurrà i comportamenti virtuosi (cioè gli investimenti) di cui l’Europa ha bisogno. È una teoria fragile che si basa essenzialmente sulla qualità delle norme e la loro applicazione. E quella in arrivo, a partire da quest’anno, è una vera e propria valanga di rendicontazioni di sostenibilità per banche, fondi e aziende.
Di Sfdr (Sustainable finance disclosure regulation), Tassonomia e Pillar 3 si è molto parlato. Ora la novità da gestire è la nuova Dnf (Informativa non finanziaria), definita nella Corporate sustainability reporting directive (Csrd). La Csrd rimpiazza la vecchia Nfrd e ridefinisce le regole per il bilancio di sostenibilità. Le innovazioni della Csrd sono davvero notevoli in termini quantitativi e qualitativi. In termini quantitativi, i Kpi crescono in numero fino a quasi quota mille per le aziende grandi. Per quanto appaia impressionante il numero delle informazioni richieste, a dire il vero, la maggior parte sono dati che le aziende registrano già senza grandi problemi.




Misurare l’impatto (sulle farfalle)

Qualitativamente, però, è tutta un’altra storia. La nuova Dnf, innanzitutto, si differenzia per l’accento sul tema della doppia materialità, dove al rischio Esg si affianca finalmente il tema dell’impatto. Il punto di vista delle farfalle (e delle persone) assume la stessa rilevanza di quello dell’azienda in un’innovazione culturale che renderà giustizia alla sparuta comunità degli impact investor.
Oltre all’impatto, la nuova Dnf chiederà anche informazioni assai più granulari sulla filiera (per le aziende) e sui portafogli (per fondi e banche). Nel primo caso la sfida per le aziende sarà il reperimento di informazioni Esg sui fornitori seguendo il principio della severity of impact che può portare al terzo, quarto o persino quinto tier. Per banche e fondi la sfida sarà invece selezionare Kpi rilevanti e metodi di aggregazione significativi (le MtCO2 o i metri cubi d’acqua vogliono dire assai poco).



“Oltre all’impatto, la nuova Dnf chiederà informazioni più granulari sulla filiera e sui portafogli”

Ideologia contro pragmatismo

Sull’implementazione della nuova Dnf si stanno scontrando due scuole di pensiero opposte: da un lato ambientalisti, sindacati, B Corp e istituzioni finanziarie in favore di una serie di Kpi standard sempre obbligatori per tutti. Dall’altro, il fronte confindustriale che chiede la facoltà di scegliere i propri Kpi in maniera flessibile. Dalle ultime indiscrezioni pare chiaro che il fronte confindustriale vincerà e la Commissione Europea pubblicherà misure attuative che permettono alle aziende di scegliere i propri Kpi in base alla loro analisi di materialità. Ma la vittoria del fronte confindustriale rischia di rivelarsi pirrica. In assenza di Kpi definiti per legge, e in presenza dell’obbligo di certificazione delle Dnf, è assai probabile che le aziende vedano esplodere i costi di certificazione e consulenza e, parallelamente, il numero delle cause in tribunale per greenwashing.
Invece di contribuire a mettere ordine della babele degli standard Esg, l’Ue sta per cedere a posizioni più ideologiche che pragmatiche, fortemente volute da Germania, Francia e dai loro grandi gruppi industriali. Le prime risposte arriveranno con l’atto delegato, atteso il 19 luglio.