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La guerra della Cina ai Bitcoin

Mentre negli Usa si pensa a un perimetro di regole per le criptovalute, Pechino nell’ultimo mese ha avviato un giro di vite che ha contribuito al crollo delle quotazioni della moneta virtuale più famosa

Mentre le autorità americane si preparano ad assumere un ruolo più attivo nella regolamentazione del mercato da 1.500 miliardi di dollari delle criptovalute, la Cina tira il freno. Negli Stati Uniti il numero uno dell’Office of the Comptroller for the Currency, Michael Hsu, in un'intervista al Financial Times, ha detto di auspicare che le autorità americane lavorino insieme per fissare un “perimetro di regole” per le criptovalute, fra le quali il Bitcoin. “Quello che serve è il coordinamento fra le varie agenzie e c’è interesse a farlo”, mette in evidenza.

Dal 12 al 23 maggio il valore del Bitcoin è sceso da 57.600 dollari a 32.600 dollari. I prezzi della criptovaluta sono stati sotto pressione da quando l’amministratore delegato di Tesla Elon Musk ha detto all’inizio di questo mese che la società non avrebbe più accettato la valuta come pagamento. Ma il crollo si deve a una pluralità di fattori, tra cui un ruolo centrale è stato giocato dalle misure poste in essere in Cina contro le criptovalute. Al momento le transazioni in criptovaluta nel gigante asiatico sono vietate dal 2019, ma per i cittadini non è fatto divieto di possederne.

La stretta di Pechino

Le cose però potrebbero cambiare. Pechino ha vietato alle istituzioni finanziarie di fornire servizi legati alle transazioni realizzate con le monete digitali. Ha anche sconsigliato le speculazioni con le criptovalute. La commissione provinciale per lo sviluppo e la riforma ha pubblicato la prima proposta più concreta appena quattro giorni dopo gli indirizzi emersi in un comitato del Consiglio di Stato, il governo centrale cinese, che ha sollevato la necessità del giro di vite su commercio e mining di Bitcoin a tutela della stabilità finanziaria. Il 18 maggio tre associazioni finanziarie cinesi facenti capo allo Stato avevano infatti avvertito i loro membri (banche, società di pagamenti e altre istituzioni finanziarie) di evitare qualsiasi attività di finanziamento legata alle criptovalute attraverso un comunicato diffuso sulla piattaforma WeChat. Le associazioni sono la National Internet Finance Association of China, che riunisce società cinesi fornitrici di servizi finanziari via Internet, la China Banking Association, che riunisce le banche, e la Payment and Clearing Association of China, che comprende aziende attive nell’industria dei pagamenti. Il motivo sarebbe legato alla volatilità delle criptovalute, all’aumento dell’atteggiamento speculativo degli investitori.

Il 19 maggio la Mongolia Interna, provincia cinese tra i principali hub mondiali di mining di Bitcoin, ha diffuso otto misure per eliminare le attività di creazione delle criptovalute. Pochi giorni dopo, il 21 maggio, il Comitato per la stabilità e lo sviluppo finanziario del governo cinese, ente governativo che coordina la regolamentazione finanziaria ha espresso la necessità di reprimere il mining di bitcoin e i comportamenti di carattere speculativo per prevenire rischi finanziari per l’intero sistema.
Infine, l’exchange di criptovalute Huobi ha sospeso i servizi di mining di Bitcoin e le vendite di attrezzature minerarie nella Cina continentale, diventando una delle prime piattaforme fondate in Cina a farlo, poiché il prezzo del bitcoin continua a scendere dopo che il governo centrale ha annunciato il giro di vite di cui sopra.