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Guerre e clima hanno provocato 12,6 milioni di sfollati interni negli ultimi sei mesi

Secondo un report dell’Ifrc (Croce Rossa e Mezzaluna Ross) gli eventi meteo estremi e i conflitti armati hanno portato un enorme quantità di persone a trovare un altro riparo, restando nel proprio Paese

Circa 12,6 milioni di persone in tutto il mondo negli ultimi sei mesi hanno dovuto abbandonare le proprie case e si sono dovuti trasferire in un’altra area interna al proprio Paese di appartenenza, principalmente a causa di disastri climatici e meteorologici. È quanto emerge dai dati elaborati dall’Imdc, il centro di monitoraggio degli spostamenti interni (Internal displacement monitoring centre, https://www.internal-displacement.org/global-displacement-map).

I dati sono stati inseriti in un report realizzato dalla Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (Ifrc), coordinamento che comprende 192 organizzazioni nazionali. Lo studio, intitolato Responding to disasters and displacement in a changing climate, fa il punto su 26 operazioni di emergenza avvenute principalmente nell’area Asia e Pacifico durante il 2020, in risposta ai danni prodotti da eventi catastrofali naturali.

La cifra di 12,6 milioni di sfollati negli ultimi sei mesi include 2,3 milioni di sfollati durante i conflitti. I restanti 10,3 milioni sono sfollati a causa di catastrofi innescate da pericoli naturali, principalmente legati a condizioni climatiche estreme, ma che includono anche un piccolo numero di eventi di pericolo geofisico, in particolare i terremoti. Le cifre provengono dall’analisi dei dati disponibili al pubblico forniti dal Centro di monitoraggio degli spostamenti interni.

Secondo Helen Brunt, coordinatrice di Ifrc per le migrazioni e gli sfollati nell’area Asia Pacifico, oltre l’80% di questi spostamenti forzati “sono stati causati da disastri, la maggior parte dei quali sono innescati da condizioni meteorologiche estreme. L’Asia – spiega – soffre molto più di qualsiasi altra regione per gli sfollamenti legati ai disastri climatici”. Questi sconvolgimenti stanno avendo terribile su alcune delle comunità più povere che già vacillano per gli impatti economici e sociali della pandemia Covid-19.

La pandemia ha complicato la fornitura di sostegno umanitario alle comunità di sfollati, perché ora c’è necessità di maggiore spazio nel corso delle evacuazioni, e parallelamente sono indispensabili maggiori protocolli di sicurezza. Il supporto a lungo termine è anche più complicato per le persone con mezzi di sussistenza in frantumi.

“Stiamo assistendo – prosegue Brunt – a una tendenza allarmante di persone sfollate a causa di eventi meteorologici estremi come il tifone Goni, la tempesta più violenta al mondo lo scorso anno, che si è abbattuta sulle Filippine”. Il Paese asiatico è stato colpito da tre differenti tempeste in altrettante settimane, lasciando oltre tre milioni di persone senza mezzi di sussistenza.

“Abbiamo bisogno di una maggiore mobilitazione, e di investimenti urgenti per ridurre il numero di sfollati interni causati dal crescente rischio di disastri. È fondamentale investire molto di più nelle organizzazioni locali e nei soccorsi di emergenza, in modo che i soccorritori abbiano le risorse necessarie per proteggere vite, case e comunità”.

Oltre agli sfollamenti legati al clima, il report analizza anche le operazioni di soccorso post-terremoto in otto Paesi, esaminando la risposta delle società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa in coordinamento con i governi e altre agenzie. La ricerca rileva che il fenomeno dello sfollamento interno colpisce in modo sproporzionato gruppi già emarginati e a rischio tra cui donne, bambini, anziani, persone con disabilità, migranti e rifugiati.

Oltre alla distruzione di villaggi e di interi quartieri, spiega il report, le persone colpite devono affrontare problemi di lungo termine legati ai propri alloggi, a terreni e ad altre tipologie di proprietà. Le donne e bambini, inoltre, devono anche far fronte a maggiori rischi di violenza che possono generarsi in un contesto di grave emergenza. “È urgente investire in soluzioni a lungo termine – sottolinea Brunt – prima che i disastri costringano più persone a lasciare le proprie case, i mezzi di sussistenza e le comunità”.