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2020, il Cile archivia quel che restava di Pinochet

Nel referendum dello scorso 25 ottobre quasi l’80% degli elettori ha votato a favore di una nuova costituzione, mandando in soffitta quella ereditata dalla dittatura. Dopo mesi di fortissime proteste e tensioni sociali, il paese può scrivere un nuovo inizio

Il 25 ottobre i cileni hanno votato a larghissima maggioranza, in un referendum tenuto un anno dopo una massiccia rivolta popolare contro le disuguaglianze sociali, a favore di una nuova Costituzione. Il Cile ha quindi scelto di cambiare e di archiviare l’era del generale Augusto Pinochet, votando per una nuova Costituzione che andrà a sostituire quella approvata nel 1980, in piena dittatura. I voti a favore hanno vinto di gran lunga con il 78,28%. L’affluenza è stata intorno al 50%, secondo l'autorità elettorale del Cile.
Il referendum era inizialmente previsto per aprile, ma era stato rinviato a causa della pandemia di coronavirus. Il governo conservatore di Sebastian Piñera ha accettato di indirlo dopo le proteste con la richiesta di un migliore sistema scolastico, aumento delle pensioni e fine delle politiche neoliberiste in economia. Tra l’ottobre 2019 e lo scorso febbraio più di 30 persone sono morte nelle proteste.
Il referendum è stato un vero e proprio “appuntamento con la storia” come ha sottolineato lo stesso Piñera, ammettendo che a trionfare è stata “la cittadinanza e la democrazia, l'unità sulla divisione, la pace sulla violenza”. Quello del 25 ottobre è stato anche il più grande voto della storia del Cile in termini di voti assoluti (oltre 7,5 milioni) e di affluenza (50,9%), secondo il Servizio elettorale del Paese.
Oltre a far vincere l’Apruebo (Approvo) sul Rechazo (Rifiuto), i cileni hanno scelto, con una maggioranza del 79%, che il lavoro di riscrittura della Costituzione sarà realizzato da una Assemblea costituente composta da 155 membri scelti al 100% attraverso un voto popolare, che saranno eletti in occasione delle elezioni amministrative dell’11 aprile 2021, con una rappresentanza di delegati delle popolazioni indigene e sulla base di un criterio di parità di genere. “Ciascun voto ha avuto lo stesso valore” e “questo trionfo della democrazia ci deve riempire di gioia e speranza, perchè abbiamo dimostrato che il dialogo è più fecondo dell'intolleranza”, ha sottolineato Pinera commentando i risultati. Il referendum è stato celebrato a livello internazionale, con l’Unione europea che si è congratulata per la partecipazione massiccia dei cileni.
Una società con enormi disuguaglianze
Il voto del 25 ottobre è stato l'ultima tappa di un percorso difficile, in un anno in cui il Paese è stato attraversato da un'ondata di proteste iniziate nell’ottobre 2019, che hanno portato alla proposta di rinnovare la Costituzione vigente, segnata da un forte presidenzialismo e da uno spazio importante per l’economia di mercato. Fu l’aumento del biglietto del trasporto pubblico a portare in piazza (a Santiago e non solo) donne, uomini, studenti e pensionati. Come spesso accade in questi casi, la protesta partì da un piccolo pretesto e successivamente mostrò il volto di un’insoddisfazione più profonda e diffusa. Fu così che le proteste furono indirizzate al carovita, alla corruzione, e in generale al sistema socio-economico su cui si è retta la democrazia cilena negli ultimi trent’anni. “Spesso considerato un esempio positivo in una regione caratterizzata da instabilità politica ed economica, il Cile è un paese che si fonda su enormi disuguaglianze”, scrive l’Ispi nella sua analisi. Secondo Giovanni Agostini, assistant professor presso la Pontificia Universidad Católica de Chile e collaboratore dell’Ispi, l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza, mentre il 50% più povero solo il 2%. Inoltre, il sistema economico neoliberale instaurato durante la dittatura ha privatizzato i principali servizi di base: sanità, istruzione e pensioni. Un processo che ha contribuito all’enorme indebitamento privato del paese. Questo riguarda “il 70% della popolazione (12.6 milioni di persone su un totale di 18 milioni), all’interno del quale oltre quattro milioni sono in stato di mora. In Cile – sottolinea Agostinis – tutto si compra a credito. Questo è il vero grande motore del boom dei consumi, che ha sostenuto per lungo tempo l’illusoria (auto)percezione di un paese di classe media.”
Fin dalla diffusione dei primi dati sul referendum, migliaia di cileni si sono riversati nelle strade di Santiago e di molte altre città cilene per le celebrazioni della vittoria, funestate purtroppo da episodi isolati di violenze per i quali la polizia ha arrestato 146 persone. A Plaza Baquedano della capitale, ribattezzata Plaza Dignidad dopo le proteste dell'ottobre 2019, uno striscione ha ricordato il defunto presidente Salvador Allende con le parole “Plaza Dignidad, non dimentichiamo il 1973”, anno del colpo di stato militare che pose fine al governo del leader socialista.