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Italia-Libia, equilibri politici e interessi economici

La visita a Tripoli del ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, punta a rinsaldare un rapporto (e un’influenza) capace di trovare soluzioni a grandi questioni come pace, migranti e costruzione di nuove infrastrutture

L’Italia ha interesse a riprendere i rapporti con la Libia. Così anche la Libia ha interesse ad avere buoni rapporti con l’Italia. Tripoli vuole riattivare i progetti e gli investimenti rimasti sospesi nel 2011 (dal governo Berlusconi), a cominciare dalla cosiddetta Autostrada della Pace, che dovrebbe collegare la parte occidentale a quella orientale, sottoscritta con l’allora presidente Mumammar Gheddafi. La cooperazione infrastrutturale dovrebbe riguardare anche la ristrutturazione dell’aeroporto internazionale di Tripoli, luogo di aspri combattimenti durante il conflitto, affidata al consorzio Aeneas, il terzo anello autostradale che circonda la capitale (valore 1 miliardo di euro), le telecomunicazioni con i collegamenti sottomarini. Non solo. In ballo ci sono anche i crediti che hanno molte aziende italiane nei confronti del governo libico: denaro non pagato a causa della guerra civile tutt’ora in corso, e per il quale Roma ora chiede conto.
Questi nodi in sospeso costituiscono le basi della visita del ministro degli esteri Luigi Di Maio in Libia, avvenuta il primo settembre. Il titolare della Farnesina è atterrato a Tripoli in un momento delicato sia per il governo di Accordo nazionale (Gna), riconosciuto dalla comunità internazionale, che per le sorti del conflitto. Il 21 agosto, dopo 17 mesi di guerra, Tripoli e Tobruk, tramite il premier Fayez al Serraj e il presidente del parlamento Aguila Saleh, hanno annunciato un cessate-il-fuoco. Khalifa Haftar, protagonista della (inconcludente) campagna militare contro la capitale libica, ha bocciato l'intesa escludendo una ripresa della produzione petrolifera. Ma da allora, per grandi linee, il cessate-il-fuoco raggiunto grazie alla mediazione di Russia, Turchia e Stati Uniti sembra reggere.
Tuttavia, come ricorda Armando Sanguini, ex ambasciatore e senior advisor dell’Ispi, nella drammatica situazione determinata dal conflitto tra le parti in causa si inseriscono anche le problematiche quotidiane, che hanno spinto nelle ultime settimane migliaia libici in piazza. La mancanza di stabilità, i continui blackout, l'aumento indiscriminato dei prezzi di beni e carburanti hanno portato gli abitanti a protestare. “A Tripoli – ricorda Sanguini – dove la presenza di milizie è capillare e puntella il fragile esecutivo di al Serraj, le manifestazioni di protesta sono state represse con la violenza. Pochi giorni dopo, il premier ha sospeso dal suo incarico Fathi Bashaga, potente ministro degli Interni e lo ha messo sotto inchiesta con l'accusa di non aver gestito adeguatamente le proteste anti-governative e anzi, secondo alcuni rumors, di averle incoraggiate”. Tuttavia, il 3 settembre, Bishaga, è stato reintegrato nel suo incarico dal presidente Serraj. È stato quindi congelato, per il momento, lo scontro interno al governo.

Il dossier migrazioni
Dopo mesi di stallo, l'annuncio di un cessate-il-fuoco il 21 agosto scorso “ha aperto all'Italia un'opportunità per riprendere posizione e riguadagnare l'influenza perduta nel paese. Dopo aver cercato sponde con il fronte di Khalifa Haftar, sostenuto da Parigi, Roma è tornata al fianco delle forze di Tripoli, che sta assistendo nello sminamento dei quartieri periferici della capitale”.
Sullo sfondo si aggiunge un ulteriore delicato elemento: il dossier migrazioni. Lo scorso luglio il governo italiano ha rinnovato un accordo secondo il quale Roma continuerà a finanziare la guardia costiera libica per limitare il flusso di migranti e rifugiati dal paese. Secondo Sanguini “si tratta di uno dei temi più controversi nell'ambito dei rapporti tra i due paesi, poiché come confermato da alcune inchieste giornalistiche i fondi stanziati dall'Italia finirebbero nelle mani di trafficanti e milizie alimentando le violazioni dei diritti umani nel paese. Anche in questo senso dunque, la stabilizzazione della Libia è essenziale per gli interessi italiani, perché consente di individuare partner affidabili e chiamati a rispondere della gestione dei flussi migratori”.