Gli italiani tra paura e insoddisfazione
Gli italiani lavorano di più e guadagnano meno dei colleghi europei. Sembrano essere i più pessimisti d’Europa, anche per quanto riguarda i figli e il futuro dell’Ue, ma non pensano di lasciare l’Italia. Si sentono classe media anche se non arrivano a fine mese e, se possono, preferiscono ridurre i consumi e mettere via i soldi per i momenti difficili. È quanto rileva il Rapporto Coop 2019-Consumi e stili di vita degli italiani.
Secondo l’indagine, è la qualità del lavoro a generare più frustrazioni. Si lavora quantitativamente come negli altri Paesi mediterranei e dell’Est europeo ma sensibilmente di più del Nord Europa. Si guadagna però decisamente meno di tutti e l’Italia detiene il primato negativo di produttività del lavoro. Solo per fare un esempio, gli italiani lavorano in media 360 ore in più rispetto ai tedeschi ma guadagnano il 30% in meno.
Il Rapporto Coop mette in evidenza come il lavoro “povero” porti con sé insoddisfazione in più direzioni: da un lato il 66% dei part time aspirano al tempo pieno (il 50% in più della Germania); dall’altro, il 32% a fronte di una media europea del 20%, non ritiene di aver raggiunto un equilibrio vita-privata e lavoro. Il 38% si sente in colpa per il poco tempo che dedica alla propria famiglia e a coltivare le amicizie. E infatti il 50% vorrebbe un lavoro più flessibile, in grado di conciliarsi maggiormente con la vita personale.
Di contro le aziende che rispondono a questo bisogno di lavoro flessibile sono ancora poche, complice una cultura di tipo tradizionale.
Il pessimismo dei cittadini
Siamo il popolo più pessimista d’Europa (almeno così la pensa 1 italiano su 2) – spiega il Rapporto – anche per quanto riguarda i nostri figli, e il meno ottimista sul futuro dell’Ue anche se ciò non si traduce in una idea di fuga (l’Italiaexit sfiora la mente di appena l’11/% dei nostri connazionali). Per il 44% degli italiani la globalizzazione non rappresenta un’opportunità di crescita, mentre la media europea si ferma a 31%. Una spirale emotivamente negativa che non abbandona il nostro Paese, motivata da fattori concreti e indiscutibili: i redditi sono ancora fermi ai livelli pre-crisi e nel 2018 dopo 5 anni di aumenti, seppur moderati, si è assistito a un dietrofront della spesa delle famiglie (in termini reali la contrazione è pari al -0,9%) con ampi divari territoriali (10 mila euro la forbice tra Nord e Sud).
Primi per intolleranza
Frustrati dal lavoro, dalle difficoltà economiche e condizionati da campagne mediatiche indirizzate ai fatti di cronaca gli italiani si sentono insicuri e desiderosi di nuove rassicurazioni. E si scoprono percentuali di intolleranza maggiori rispetto al resto d’Europa.
Anche se i reati sono in calo e comunque ampiamente inferiori alla media europea solo il 19% (33% di europei) è pienamente convinto di vivere in un posto sicuro. E da questa inquietudine – si legge ancora nel Rapporto – derivano comportamenti conseguenti: in 18 anni sono cresciuti di oltre il 20% i sistemi di allarme installati nelle abitazioni, nel 2018 sono +50% su Google le ricerche da parte degli italiani di “armi per difesa personale”, mentre le licenze per porto d’armi sono cresciute nello stesso arco di tempo di un +13,8%.
Gli italiani si dicono più preoccupati dei connazionali che lasciano il Paese per andare all’estero che di quelli che vengono in Italia. Eppure risultano essere la maglia nera tra i principali paesi europei quando si parla di integrazione: siamo i più nazionalisti (68%), i più anti-immigrati (52%) e i più anti-minoranze religiose (35 %).
Il risparmio come rifugio
Gli italiani indirizzano le loro principali voci di spesa a beni di prima necessità e servizi (il 64% dichiara di “spendere solo per il necessario”) e hanno allentato gli investimenti finanziari privilegiando i depositi bancari e alimentando le riserve di liquidità personali. Il documento mette in luce come oggi ci sia più denaro circolante rispetto al periodo pre-crisi e continua a aumentare il tasso di risparmio delle famiglie; era il 7,8% nel 2017, l’8,1% nel 2018 e già 8,4% nel primo trimestre 2019.
In aumento la fragilità della classe media
Le difficoltà economiche delle famiglie sono chiare, soprattutto se si prende in considerazione la classe media, che si è ridotta in 10 anni a 6 milioni di unità e che oggi vede di molto deteriorarsi le proprie condizioni di vita: basti pensare che il 50% di quanti dichiarano di appartenere alla classe media non arrivano alla fine del mese. Il 25% è più infelice dei suoi pari grado europei ed è poco convinto di poter migliorare la propria vita se non facendo leva su fattori indipendenti dalla propria volontà, come nascere in una famiglia benestante, avere buone conoscenze acquisite o addirittura affidarsi alla fortuna.
La classe media (o almeno quella che si dichiara tale) è la stessa che vuole comprare casa, ma a prezzi più bassi, sceglie l’utilitaria come auto di famiglia (la Panda è l’auto più venduta nel 2018), fa del vintage la moda del momento, decreta il successo del discount (principale artefice del miglioramento della grande distribuzione nel primo semestre dell’anno rispetto al dettaglio), si ingegna per trovare online modi per risparmiare, dai viaggi al ristorante.