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Parlare di rischi nel Paese della scaramanzia

In Italia, la cultura della prevenzione e della gestione del danno stenta a radicarsi. Ancora più difficile è parlare delle azioni pratiche per scongiurare eventi avversi: le aziende sono minacciate ma spesso fanno finta di non saperlo. Se n’è parlato a Milano, in un evento organizzato da Società e Rischio

Nel Paese della superstizione, delle maghe, del Superenalotto come scelta di vita, è difficile parlare di cultura del rischio. Dalle parole ai fatti, cioè passare dalla teoria alla capacità di azione è ancora meno semplice: la maggioranza della popolazione e la maggior parte delle imprese ignora spesso cosa voglia dire confrontarsi con le minacce reali e saperle gestire in modo razionale. Eppure, per diffondere la cultura del rischio e l’alfabetizzazione finanziaria, basterebbe dare spazio agli operatori privati, agli enti, alle associazioni e a tutti gli stakeholder che di queste materie si occupano tutti i giorni. Con questo spirito, Insurance Connect, editore di questo portale, ha organizzato Rischi: cultura e capacità di azione, evento molto partecipato, che si tenuto a Milano, moderato dal direttore di Società e Rischio, Maria Rosa Alaggio. Il convegno è stato promosso con il patrocinio di Regione Lombardia, Città metropolitana di Milano, Comune di Milano, Anra e Cineas. Al centro dei dibattiti, le trasformazioni della nostra società, dei modelli di produzione, la nascita dei nuovi profili di rischio: ma anche le possibili risposte a un’insicurezza sempre più pervasiva. Cyber risk, rischio reputazionale, rischio geopolitico, ma anche le minacce più tradizionali che in un nuovo scenario hanno conseguenze diverse rispetto al passato.


I freni allo sviluppo 

A guardare le prospettive economiche mondiali, europee e italiane, il quadro non è dei più incoraggianti. La società di ricerche Nomisma, rileva uno scenario tendenzialmente negativo ma da cui si può già intuire un cambiamento che si sta affacciando. Gli analisti si attendono per i trimestri futuri una contrazione dello sviluppo, a causa principalmente di tre fattori: crollo del prezzo del petrolio, inflazione che non riparte e guerra dei dazi. Soprattutto il terzo elemento sta cambiando lo scenario: la crisi della globalizzazione è conclamata e tornano gli accordi bilaterali in un mondo bipolare in cui si scontrano Stati Uniti e Cina. In un contesto sempre più liquido, le modalità di produzione abbattono gli steccati: settore secondario e terziario, contaminati dalla digitalizzazione, si ibridano in un flusso continuo di conoscenza. Manca, tuttavia, un sistema di sicurezza per le imprese, un nuovo linguaggio comune. Ci sono molti modi per rispondere a queste esigenze: uno dei più efficaci è mettere in comune i problemi, per affrontarli insieme. Nuovi principii, valori comuni sovranazionali cui guardare: uno è l’Agenda 2030 dell’Onu, che richiama la necessità di considerare i rischi in un continuum: quello ambientale si lega a quello economico e sociale, a quello geopolitico. La sostenibilità può essere un argine alle minacce interconnesse perché risponde a una mancanza ormai sentita dalla società: l’aspirazione a un futuro dove la socialità sarà riscoperta e valorizzata.


Cyber risk, un approccio low-cost 

Entrando nello specifico dei rischi che privati e aziende devono affrontare, durante il convegno ci sono stati vari focus dedicati. Per esempio, il cyber risk e la gestione dei dati nelle aziende cui è collegata una minaccia spesso sottovalutata. In questo senso, il Gdpr non ha cambiato molto le cose: secondo Federprivacy, l’interpretazione che le aziende italiane hanno dato della normativa è stata burocratica, minimale e low cost. Tra le aziende nazionali, soprattutto le medio-piccole, non si è imposto (ancora) un modello virtuoso di gestone dei dati e questo squarcia un velo sull’arretratezza del settore italiano. Il 50% delle Pmi italiane, del resto, ha subìto almeno un attacco informatico nell’ultimo anno. Almeno questi sono i dati noti ma, come si sa, le denunce di sinistri cyber, benché obbligatorie, sono ancora una minima parte del totale degli incidenti.


Il costo del clima impazzito 

Un altro approfondimento ha riguardato i cambiamenti climatici, uno degli ambiti di rischio su cui occorre tenere più alta l’attenzione. Mai come negli ultimi 800mila anni, ci dicono i dati di Legambiente, il livello di CO2 nell’atmosfera è aumentato così velocemente, così come la temperatura sta lievitando su una scala di tempo molto breve. E non c’è dubbio che siano le attività umane le responsabili di questo cambiamento. L’Italia ha più di 20 milioni di persone esposte ad alti livelli di inquinamento, ma ci non si sta impegnando abbastanza, considerato che lo Stato sovvenziona ancora l’industria estrattiva. Non più sostenibile è anche la lentezza della macchina della giustizia italiana. Una zavorra con cui devono fare i conti molti imprenditori italiani, e che scoraggia quelli esteri dall’investire nel nostro Paese. Guardando i dati relativi ai procedimenti pendenti al giugno 2018, 3,8 milioni sono quelli in ambito civile, oltre tre milioni in quello penale, con una durata media di circa tre anni.


Una consulenza di qualità 

In questo quadro, quale ruolo può esserci per il settore dei rischi? Le aziende di piccole dimensioni considerano la gestione dei rischi in modo non adeguato: sebbene ci siano soluzioni assicurative nuove, il comparto si trova spesso di fronte a interlocutori con cui è difficile comunicare. Farsi ascoltare implica però avere anche una value proposition forte, da parte dell’impresa di assicurazioni. Lo sforzo del settore assicurativo, in definitiva, è quello di riuscire a farsi ascoltare attraverso una consulenza di qualità per la quale serve formazione: occorre partire dal basso, cioè dalla comprensione delle reali esigenze osservate sul campo.