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Il mondo si sbarazza della crisi

L'Ocse ha certificato che con una crescita globale che sfiora il 4% e una disoccupazione al 5%, l'onda lunga della recessione si è esaurita. Ma in Italia, complici le troppe incertezze, lo sviluppo rischia di interrompersi

Mentre l'Italia cerca faticosamente di uscire dalla propria triplice crisi, politica, istituzionale e finanziaria, il resto del mondo fa i conti con le buone notizie che arrivano dal nuovo Economic outlook licenziato dall’Ocse durante la Ocse Week 2018, in corso a Parigi. Le previsioni dell’organizzazione sulla crescita mondiale, certificano il ritorno ai livelli pre-crisi, cioè uno sviluppo coordinato e fisiologico delle economie mondiali. Secondo l’Ocse la crescita proseguirà, con il Pil globale previsto al 3,8% quest’anno e 3,9% nel 2019. Accompagnato ai numeri del prodotto interno lordo, ci sono anche le notizie più rassicuranti riguardo il forte calo della disoccupazione, che arriverà al livello più basso dagli anni ’90: il tasso di disoccupazione nell’area Ocse (cioè i 35 Paesi più industrializzati del mondo) è sceso sotto il livello pre-crisi e si prevede che continuerà a diminuire, calando al 5% per la fine del 2019. Questa sarebbe la percentuale più bassa addirittura dal 1980.

IN RIBASSO LE STIME PER L'ITALIA 

Tuttavia, l’Italia, su cui l’Ocse si è concentrata molto in questi giorni, per ovvie ragioni, risulta un caso particolare e nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, la ripresa resta poca solida e soprattutto le incertezze del quadro complessivo restano troppo numerose. In primis, l’organizzazione ha rivisto leggermente al ribasso le stime di crescita del Paese, all’1,4% nel 2018 e all’1,1% nel 2019, dai precedenti +1,5% e +1,3%. Secondo l’Ocse, l’incertezza politica potrebbe avere un impatto sull’espansione economica ma non è solo questo che frena il Paese. La qualità del lavoro, ad esempio, è ancora troppo bassa. Se è vero che il tasso di disoccupazione in Italia (11,2%) è diminuito e sta continuando a farlo gradualmente, l’aumento degli occupati sta perdendo vigore e contemporaneamente i contratti temporanei rappresentano la maggior parte dei nuovi posti di lavoro creati. Solo quest’anno, dopo dieci anni, aumenteranno le retribuzioni del settore pubblico ma la crescita dei salari del settore privato è al palo mentre l’aumento dell’inflazione sta riducendo la crescita del reddito disponibile delle famiglie. Questi indicatori, sostiene l’Ocse, suggeriscono che l’economia sta perdendo slancio.

UNA RICETTA COMPLESSA 

Per questo, l’organizzazione suggerisce all’Italia di abbassare le tasse ai redditi più bassi, lottare contro la povertà e impegnarsi sul serio nel superare le ampie diseguaglianze sociali e territoriali. Dal punto di vista fiscale, l’Italia dovrebbe contrastare con più decisione l’evasione contributiva, semplificando le agevolazioni e abbassando le aliquote per i redditi bassi, spendendo di più e meglio su infrastrutture e contrasto alla povertà. Tutte queste cose, con lo sfondo delle riforme strutturali e sociali e una prudente politica di bilancio, potranno essere le armi per sostenere la crescita e affrontare le diseguaglianze. Accanto alle indicazioni sul futuro, l’Ocse sottolinea anche le cose fatte che hanno prodotto risultati. Per esempio, la strategia per stabilizzare il settore bancario sta dando i suoi frutti: lo stock degli Npl nei bilanci degli istituti di credito è sceso quest’anno di circa il 20%, con un costo limitato da parte dello Stato, cosa che non ha fatto salire il debito pubblico, il cui rapporto con il Pil resta alto (oltre il 130%) ma che ha iniziato a calare.

POLITICHE DI LUNGO PERIODO 

A margine della presentazione dei dati, il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha anche commentato le difficoltà dell’Italia in questa crisi, invitando a una maggior cautela nel valutare le strategie da mettere in campo nella situazione d’instabilità che i mercati stanno riflettendo. "Non bisogna basare le proprie politiche – ha specificato – sulle reazioni quotidiane dei mercati perché cambiare politica ogni giorno sarebbe una pazzia. Contro la volatilità e l’aumento dello spread nel breve termine – ha continuato –, quello che non possiamo fare è stabilire politiche di lungo termine in base a ciò che ogni giorno accade sui mercati, perché lo spread sale e il giorno dopo scende e il giorno dopo risale: bisogna dunque avere uno sguardo di medio e lungo termine".