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Dazi, il protezionismo di Trump gela il mondo

Acciaio e alluminio: le importazioni dall'estero negli Stati Uniti avranno una tassa doganale rispettivamente del 25% e del 10%. L'Europa ricorrerà al Wto e già prepara le contromosse. Ma non è ancora chiaro quali saranno le conseguenze delle decisioni del presidente americano

Il protezionismo irrompe ufficialmente sulla scena mondiale. Marzo 2018 potrebbe essere ricordato come il mese in cui è morta la globalizzazione. Inserita nei primissimi posti della classifica delle peggiori minacce per la ripresa economica mondiale, la guerra commerciale è iniziata e, come tutti si attendevano, è partita dagli Stati Uniti, dal presidente Donald Trump. I primi settori a essere coinvolti sono quelli di acciaio e alluminio: le importazioni dall’estero negli Stati Uniti avranno un dazio doganale rispettivamente del 25% e del 10%. Una scelta, dice Trump, di sicurezza nazionale, una definizione che abbiamo sentito tante volte in relazione al terrorismo, alle operazioni di intelligence e alle missioni militari e che entra ora nel vocabolario dell’economia. 

È ancora presto per definire quali saranno le reali ripercussioni di questa decisione, che a Washington sta spaccando anche il Congresso e lo stesso Partito Repubblicano, ma non lo è per capire quali potranno essere le contromosse dei partner commerciali statunitensi, in primis quelle dell’Unione Europea. “Se la Ue non sarà esentata dai dazi americani sulle importazioni di acciaio e alluminio, dovrà reagire in modo appropriato”, ha ribattuto convintamente BusinessEurope, la federazione che raggruppa le associazioni delle Confindustria europee, precisando che la mossa di Trump creerà “uno sconvolgimento di vasta portata nel commercio mondiale”. L’industria europea ha invitato la Ue a salvaguardare gli interessi continentali, condividendo la linea dalla Commissione Europea che sta pensando a un ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) per mettere in atto misure di difesa e, in ultima analisi, contrattaccare colpendo una serie di prodotti made in Usa.

I TIMORI DEI PRODUTTORI 

Per Eurofer, l’organizzazione che raccoglie i produttori europei di acciaio, le motivazioni con cui il presidente Usa ha giustificato il ricorso a dazi sono “un’assurdità". Il direttore, Axel Eggert, ha detto che “la giustificazione della sicurezza nazionale e il legame fatto con il finanziamento delle spese americane per la Nato sono un’assurdità”. Lo scorso anno l’Ue ha esportato verso gli Usa 5,5 milioni di tonnellate di acciaio e per questo i produttori del Vecchio Continente sono preoccupati per una possibile invasione di prodotti provenienti da altri Paesi che, non trovando più sbocchi negli Usa, potrebbero riversarsi sul mercato europeo. Tutto ciò, secondo Eggert, “potrebbe causare nell’Ue la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro nel settore siderurgico e nelle attività collegate”.

PRIMO PASSO: METTERE D’ACCORDO GLI EUROPEI 

D’altra parte, non è chiarissimo come funzioneranno questi dazi americani. È possibile che alcuni Paesi possano essere esclusi dalle misure annunciate, cosa che nuocerebbe ancora di più all’Europa. “Ci aspettiamo – ha spiegato il vice presidente della Commissione Europea, Jyrki Katainen – che l’Ue sia trattata come un unico soggetto commerciale. Non possiamo accettare che sia divisa in diverse categorie. Inoltre pensiamo che, poiché le imprese Ue non sono fonte di commercio sleale né una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti d’America, queste dovrebbero in toto essere escluse dai dazi”. 

Dal momento in cui entreranno in vigore le misure di Trump, l’Europa, se saprà reagire compatta, avrà al massimo 90 giorni per approvare misure di riequilibrio, colpendo alcuni prodotti importati dagli Usa, secondo la previsione della commissaria europea al Commercio, Cecilia Malmstroem. Lo dicono le regole del Wto, organismo cui le Ue si rivolgerà come primo passo in risposta all’offensiva commerciale americana. I Paesi da mettere d’accordo sono 27 (28 se si considera anche la Gran Bretagna): occorrerà discutere e farsi trovare pronti, coinvolgendo anche un numero crescente di Paesi che stanno voltando le spalle all’Europa, come l’Italia, che ha scelto la scorsa domenica di affidare la stragrande maggioranza del Parlamento a forze euroscettiche e populiste.

MENO PRODOTTI USA 

“L’Unione Europa – ha aggiunto Malmstroem – è comunque un progetto di pace. Abbiamo il dialogo e il compromesso come nostro Dio: è l’idea che sottende l’Ue. Quello che chiediamo ai nostri amici americani è di lavorare con noi per rafforzare le organizzazioni internazionali e il manuale delle regole globali”. Nonostante questo, però, se gli Usa decideranno di aprire le ostilità, saranno prese delle misure per proteggere i posti di lavoro in Europa. Davvero potremmo dover rinunciare a whiskey, burro d’arachidi e succo d’arancia americani? Forse, si vedrà, c’è bisogno di tempo per capire, ha sottolineato il commissario europeo: “potremmo imporre delle salvaguardie – ha detto – per le nostre industrie dell’acciaio e dell’alluminio e poi queste misure di riequilibrio: è una lista alla quale stiamo lavorando, non è ancora stata decisa, ne stiamo discutendo con gli Stati membri, ci sono regole su come fare queste cose e ci stiamo assicurando di rispettare alla lettera le norme del Wto”.

UN FRENO ALL’ITALIA 

Dal punto di vista italiano, come noto, il nostro Paese ha fondato gran parte della sua ripresa sulle esportazioni. Nel 2017, queste hanno superato il valore di 530 miliardi di euro, pari a più del 30% del Pil. Secondo uno studio dell’Unione nazionale consumatori, se si confrontano i dati del fatturato e degli ordinativi dell’industria 2017 con quelli pre-crisi del 2007, a fronte di un fatturato totale sceso del 5,7%, quello estero è salito del 18,1% mentre quello interno è crollato in 10 anni del 14,8%. Anche gli ordinativi, che in media sono scesi in 10 anni del 9,8%, segnano una caduta del 20,8% per quelli interni e un incremento del 10,7% per quelli esteri. 

Guardando agli ultimi numeri del ministero dello Sviluppo economico, le esportazioni italiane nei Paesi extra Ue, nel mese a gennaio, sono aumentate rispetto al corrispondente mese dello scorso anno del 4,8%. Le vendite hanno totalizzato 14,1 miliardi di euro un record storico per l’Italia, che ha battuto il vecchio primato che risaliva al gennaio 2017, quando si sfiorarono i 13,5 miliardi. Il Mise è tuttavia sorpreso dalla lieve contrazione che le vendite italiane hanno segnato negli Stati Uniti, -1,4%: non che il dato possa in qualche modo essere significativo di una tendenza. Nel corso del gennaio 2018, gli incrementi più cospicui si sono realizzati nell’Europa non comunitaria (+15,6%), in America centro meridionale (+4,6%) e in buona parte del continente asiatico, trainati ancora una volta dalle ottime performance in India (+19,8%) e Cina (+10,7%). In Africa sub-sahariana, invece, il nostro export è calato del 14%, mentre in Medio Oriente del 5,8%.