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Quale Europa in un mondo che cambia?

Completare la governance dell'euro e creare un Fondo Monetario Europeo. Sono due delle priorità per l'Ue individuate dall'ex premier, Enrico Letta, nel corso di un recente convegno promosso da Ispi e Intesa Sanpaolo, in collaborazione con Assolombarda e Sace Simest

L’Europa non è immortale, ma la Brexit non è la fine. L’intervento dell’ex premier Enrico Letta risponde agli stimoli del Dossier di fine 2017 di Ispi nel corso del convegno “Il mondo che verrà: 10 domande per il 2018″, con un’analisi di quello che aspetta all’Europa.
Il 2016/2017 si è rivelato un periodo pesante per l’Unione e ha dimostrato che l’Ue è diventata mortale, o meglio che non è più quella costruzione politica immortale che tutti pensavano.
“Quando Londra fece il suo ingresso nella Comunità Economica Europea nel 1973, - evidenzia Letta - il mondo si convinse che il progetto comunitario stava funzionando e aveva un futuro. Allo stesso modo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue lancia al mondo il messaggio opposto: l’Ue non funziona e rischia di non avere futuro. Brexit ha avuto un impatto globale (in Asia in particolare), ma dobbiamo ridimensionarlo, perché l’Europa ha al suo interno gli anticorpi per scongiurare la fine”.

Un anno decisivo, prima delle elezioni europee
La situazione non è semplice: l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, le elezioni tedesche che hanno creato una situazione di stallo inaspettata, l’arrivo di Macron, ma anche il governo di destra austriaco, i problemi con i Paesi dell’Europa dell’est, Ungheria e Polonia in particolare.
Uscendo dalla logica Italia-centrica, nel 2018 l’evento decisivo per l’Italia e le sue imprese non sarà il risultato delle elezioni politiche del 4 marzo.
Due infatti gli appuntamenti fondamentali per l’Ue nel 2019: il voto per rinnovare il Parlamento Europeo e la scadenza del mandato di Mario Draghi da governatore della Banca Centrale Europea. “E’ qui che si rischia lo scontro politico tra i Paesi europei, ma non possiamo permetterci di restare fermi due anni”, mette in guardia Letta. “L’Europa deve agire e deve approfittare di quest’anno per farlo”.
Letta ha spiegato che la prima serie di interventi deve puntare a "completare la governance dell'euro e creare un Fondo Monetario Europeo in grado di intervenire in tempo reale in situazioni di crisi".
E ciò dovrà avvenire in tempi stretti, vale a dire nel corso di quest’anno, per evitare di dover attendere il 2020, dopo le elezioni europee.

Le opportunità per l’Italia di contare
“Molto probabilmente”, commenta Letta “nel 2019 finirà il bipolarismo tra conservatori e progressisti che ha contraddistinto finora l’Ue. E non solo per l’emergere di nuove forze. Ma, soprattutto, perché è sempre più difficile la convivenza all’interno dello stesso schieramento: basti pensare alla coabitazione nella stessa casa della Merkel con l’ungherese Orban”.
L’ex premier esorta l’Italia a smetterla di “sentirsi Calimero e di incolpare l’Europa di tutto quello che non va”. Non c’è mai stato un Paese con tanti esponenti ai vertici dell’Unione come oggi l’Italia: presidenza del Parlamento, Bce, Alto rappresentante per la politica estera. L’Italia può pesare parecchio, e Letta rileva con soddisfazione che di questo se ne sono accorte anche le forze politiche che oggi sembrano più morbide nei confronti della permanenza dell’Italia in Europa.

I punti per ridare fiducia alle famigli e alle imprese
L’ex premier, e oggi direttore della Scuola di affari internazionali di Parigi, concludendo il suo intervento ha indicato i punti su cui concentrare le forze per riportare la fiducia tra le famiglie e le imprese.
Riparare il tetto finché c’è tempo. Parafrasando una celebre frase di Kennedy, Letta sottolinea l’importanza di fare quelle riforme in grado di ristrutturare il tetto dell’Ue finché c’è ancora tempo per farlo. Le riforme servono a contrastare le crisi esogene che arrivano da lontano. Ne è stato un esempio la grande crisi economica che ha piegato il mondo e l’Ue nel quinquennio 2008-2013. Bisogna in sostanza essere pronti e avere gli strumenti per reagire davanti alle crisi che arrivano dall’esterno.
Bilancio europeo 2019-2028. Occorre attivarsi per avviare il percorso di riscrittura del bilancio che tenga conto della complessità che ci sarà dopo il 2019. Senza la Gran Bretagna, il bilancio Ue avrà un 11% in meno. Un dato che pesa molto e che deve fare riflettere.
Armonizzazione fiscale. Adesso che il Regno Unito non potrà più mettere il veto sull’armonizzazione fiscale, va sicuramente rivisto tutto l’impianto fiscale europeo. Si deve intervenire sul sistema che vede una moneta unica ma un diverso sistema fiscale. La riforma del meccanismo fiscale è necessario a imprese e mondo del lavoro.
Cultura al centro. Occorre ridare la centralità alla cultura in Europa. La cultura può davvero diventare un volano dell’economia e un ambito di investimento.
Gestire i flussi migratori. Riuscire a sistemare il governo dei flussi migratori per ridurre le tensioni politiche interne e comuni a tutta l’Europa. Se non si attua una politica di accoglienza comune, sarà un problema e avremo delle ripercussioni in sede elettorale.
Revisione istituzionale dell’Ue. E’ opportuno lasciare perdere tutti i discorsi sui meccanismi delle istituzioni europee, ma andare nella direzione di azioni concrete di cui cittadini e imprese vedano subito gli effetti. Molto meglio una strada come quella delle geometrie variabili che stanno provando Macron e Merkel.
Aprirsi a nuovi mercati. La vera sfida che Trump ha lanciato all’Ue è sul commercio internazionale. Il presidente Usa parte dal presupposto che gli Stati Uniti consumano più di quello che producono, mentre l’Ue produce più di quello che consuma. L’Europa, insomma, per stare in piedi ha bisogno di produrre più di quello che le serve. Per questo il ritorno al protezionismo paventato da Trump mette in pericolo l’economia europea. Il protezionismo in mano a Trump è un’arma pericolosa per l’Europa, che ha bisogno di nuovi mercati e di mercati fluidi.