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Supply chain, un’occasione per migliorare

Le difficoltà delle imprese nelle catene di fornitura portano con sé, oltre all’impatto diretto sul mercato, anche possibili danni d’immagine. Le Pmi italiane hanno avuto la capacità di reagire e hanno acquisito la consapevolezza che è necessario rafforzare la propria struttura per restare competitive

Dal 2020 le catene di approvvigionamento globali stanno vivendo una situazione di particolare tensione che ha portato le imprese a una revisione dei processi e delle strategie consolidati.
A partire dagli anni ‘90 del Novecento, le supply chain si erano progressivamente rivolte ai paesi dell’Estremo Oriente per una serie di vantaggi nella produzione e per la facilità di accesso ai trasporti, che le rendevano convenienti nonostante la distanza. La pandemia, il caso del blocco del canale di Suez nel 2021 e ora le tensioni geopolitiche hanno determinato concrete difficoltà per il sistema produttivo italiano che era in genere orientato su un unico canale di fornitura. La complessità ha indotto le imprese a riconsiderare la struttura del proprio modello di approvvigionamento, senza tuttavia chiudere del tutto il canale con il Far East.
Fabio Zonta, former group chief procurement officer con esperienze nei settori energetico, Ict e telecomunicazioni, autore del libro Procurement rievolution, osserva che questo stato di cose ha determinato una reazione delle aziende italiane che può portare a un’evoluzione del modello imprenditoriale delle Pmi.
Le difficoltà di approvvigionamento sono state affrontate perseguendo prevalentemente quattro possibili strade, argomenta Zonta: “reingegnerizzare il prodotto finito, ripensandolo per svincolarsi da dipendenze di fornitura; ricercare materiali o componenti in zone più vicine alle proprie sedi, valutando anche l’ipotesi del reshoring; mantenere il fornitore abituale ma rafforzando la relazione con soluzioni di back-up; ricercare una resilienza nell’approvvigionamento, ad esempio con una gestione flessibile delle scorte. In ogni caso, la situazione che si è generata ha definitivamente segnato la fine del concetto di just in time, riportando in auge le soluzioni di stoccaggio presso le aziende con scorte che rappresentino almeno delle quote di sicurezza”.

Il rischio di mettere in gioco la reputazione

Le difficoltà nella catena di fornitura danno luogo a rischi correlati. “La discontinuità di approvvigionamento determina un rischio di capacità di offerta, che a sua volta può provocare una perdita di quote di mercato”, osserva Zonta. “Inoltre, può accadere che le imprese optino per un adeguamento dei prodotti, abbassandone la qualità, con il rischio di intaccare la propria reputazione e uscire dal mercato”.
In un contesto di scarsa propensione delle Pmi al risk management, il tema è proprio la consapevolezza della necessità di gestire il rischio di fornitura, dotandosi di un contingency plan che mantenga preparata l’impresa nell’ipotesi di una eventuale prossima crisi e porti a valutare anche il supporto assicurativo.
Per modificare i modelli finora seguiti nella supply chain è necessario partire da due punti fermi: investire nelle risorse interne e dotarsi di tecnologie che supportino l’elaborazione delle molte informazioni in entrata e in uscita, utili a definire meglio esigenze, opportunità e criticità che si palesano. Sottolineando il concetto, Zonta afferma che “nell’ambito dell’approvvigionamento servono persone competenti nei mercati globali e capaci di intersecare le esigenze interne con le disponibilità esterne; esse devono poi conoscere tutti i processi aziendali e le relative tempistiche, fattori che permettono di sviluppare resilienza nel settore partendo dall’organizzazione dell’azienda stessa”.


VERSO UN NUOVO MODELLO DI PMI?

Le generali difficoltà del contesto economico stanno portando a una repentina evoluzione del tessuto imprenditoriale italiano, con una forte selezione delle Pmi che non sono state in grado di adeguarsi in fretta ai mutamenti. Per le altre, si stanno delineando cambiamenti che potrebbero configurare un salto di qualità dell’intero sistema. “Molte imprese – dichiara Fabio Zonta, former group chief procurement officer con esperienze nei settori energetico, Ict e telecomunicazioni, autore del libro Procurement rievolution – hanno compreso l’esigenza di rafforzarsi e per questo hanno scelto di accorparsi o di aprire le porte ai fondi di investimento, inclusi quelli esteri che nelle Pmi italiane trovano ottime best practice, alta produttività e redditività, con la possibilità di fare grandi aggregazioni sulla qualità del Made in Italy”.
C’è però un altro tema di fondo che permane, cioè la necessità di passare da una organizzazione imprenditoriale di tipo familiare a una gestione guidata da un approccio manageriale. “Le imprese piccole e medie che hanno superato con successo gli ultimi anni – prosegue Zonta – hanno assorbito pienamente e in modo rapido le difficoltà; la vera questione è che le scelte effettuate sono state vissute come soluzioni estemporanee”.
Per consolidare l’esperienza appresa come cultura manageriale servono la disponibilità degli imprenditori verso la professionalità dei manager e la volontà di strutturare le competenze aziendali, uscendo dal vincolo della dipendenza dalle conoscenze del singolo. L’impatto è stato assorbito, serve ora trovare una continuità di risposta per gli eventi futuri.