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Perché il cambiamento climatico favorisce gli incendi

Uno studio coordinato dall’Università di Barcellona evidenzia l’impatto dell’aumento delle temperature sulle probabilità d’incendio considerando le condizioni meteorologiche. Secondo le previsioni, gli effetti saranno più devastanti nelle zone dell’Europa settentrionale e meridionale

Il riscaldamento globale incide modificando le correlazioni fra condizioni climatiche ad alto potenziale incendiario (fire weather) e le emissioni di CO2 prodotte dagli incendi in Europa. Sono due fattori di rischio che minano gli obiettivi della Strategia Forestale europea, il cui target è la riduzione annua delle immissioni di gas serra nell’ambiente (quantificate in un minimo di 310 milioni di tonnellate di CO2), tramite lo sviluppo del settore forestale e quello agricolo.

A lanciare l’allerta è uno studio finanziato dal ministero della Scienza e dell’Informazione spagnolo, pubblicato recentemente sulla rivista Scientific Report. Ai lavori, guidati da Jofre Carnicer dell’Università di Barcellona, hanno preso parte fra gli altri anche tre ricercatori italiani: Francesca di Giuseppe dell’Ecmwf (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine), Piero Lionello dell’Università del Salento e Claudia Vitolo per l’European Space Agency ed Esrin (Centro europeo per l’Osservazione della terra a Frascati).

I ricercatori hanno notato come l’aumento delle condizioni meteorologiche favorevoli allo scatenarsi d’incendi, sia variato nel periodo 1980-2020 mostrando livelli d’allerta mai visti. Ciò soprattutto durante l’estate, stagione in cui le condizioni meteorologiche complessive presentano il rischio più elevato di fenomeni incendiari. Un altro dei fattori espressi dalla ricerca, contempla la possibilità che il cambiamento climatico potrebbe incidere in modo ulteriore estendendo la “durata” delle stagioni a rischio incendio.

Aree a rischio

Le regioni interessate dal fenomeno includono in gran parte quelle boschive e montuose dell’Europa centrale e meridionale. “Gli studi di proiezione sui rischi futuri, indicano che il “fire activity” (attività del fuoco) nell’Europa meridionale potrebbe avere un’irrimediabile inversione di tendenza ad alto impatto nel prossimo futuro”, si legge nell’abstract della ricerca.

La metodologia

Il metodo utilizzato dai ricercatori è l’Ssr, l’indice che quantifica il rischio stagionale d’incendi, associato ai dati del Fire Weather Index system (Fwi), un altro sistema parametrico sviluppato valutando l’impatto degli incendi nelle foreste canadesi. La frequenza incendiaria è invece espressa in termini di emissioni di carbonio, stimate grazie all’osservazione satellitare e ai modelli di simulazione. L’indice Ssr e l’Fwi analizzano le condizioni climatiche potenziali affinché un incendio incontrollabile si scateni, ma non misurano di per sé l’”attività del fuoco”, né considerano altri fattori scatenanti come la presenza di carburante, piromani e pratiche scorrette di gestione della sicurezza in caso d’incendio di altra natura. I parametri esaminati, in sostanza, guardano soltanto al “fire weather”: ovvero una condizione meteorologica favorevole allo svilupparsi di incendi ed espressa in variabili atmosferiche come le precipitazioni accumulate, l’umidità relativa, le temperature e la velocità del vento.

L’urgenza d ridurre le emissioni di anidride carbonica

In pericolo c’è quell’immenso “serbatoio” di carbonio costituito da parchi e boschi del continente europeo che in caso d’incendio sarebbe irrimediabilmente riversato nell’ambiente. Al contempo le regioni boschive dell’area interessata assorbono tutti gli anni grosso modo il 10% dell’emissioni di gas serra europeo. In totale si parla di quasi 360 milioni di tonnellate di CO2 risparmiate all’ambiente. “Nello specifico (le foreste dell’area) catturano più emissioni di quante ne produca un paese come la Spagna, i cui valori si aggirano intorno alle 214 milioni di tonnellate”, spiega Jofre Carnicer.

L’analisi evidenzia un “cambio significativo” nel rapporto fra il rischio d’incendio e le emissioni di CO2 dell’Europa meridionale: in sostanza si passa da un livello di allerta “non significante” a valori “altamente significanti”. Se nell’Europa centrale il valore del rapporto negli ultimi anni è rimasto su valori non preoccupanti, non lo è altrettanto per l’Europa settentrionale e per il Sud. Le previsioni non sono di conforto. Il rischio aumenterà in modo notevole nelle regioni già impattate dai grandi incendi. Ad esempio, si legge nella ricerca: “Maggiori aumenti dell’indice Ssr interesseranno tutte le principali aree montuose del centro europeo e del Sud, compresi i Pirenei, le catene iberiche e i Monti Cantabrici in Spagna, le Alpi, le Alpi Dinariche, il Massiccio Centrale francese, l'Appennino italiano nell'Europa centrale, i Carpazi, i Balcani, il Pindo, il Caucaso e i Monti del Ponto nell'Europa sudorientale”.

Jofre Carnicer osserva che "In questo contesto ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica nei prossimi due decenni è fondamentale per raggiungere un minor rischio di incendi in Europa e nel mondo”. Lo studio conclude peraltro che il rischio d’incendio stimato fine alla fine del secolo aumenterà in modo inesorabile nelle zone più colpite dai cambiamenti climatici.

Siccità prolungata, aumento delle temperature e crescenti ondate di caldo, contribuiscono a condizioni estreme inevitabilmente legate all’aumento del rischio. E non va sottovalutata la “capacità” di combattere questi fenomeni a cui “potremmo non essere in grado di far fronte”, aggiunge Carnicer. Gli incendi sono correlati all’aumento di emissioni di CO2 e in modo collaterale alla distruzione di quel patrimonio boschivo che è a sua volta in grado di ridurle. E tutti gli sforzi volti alla decarbonizzazione europea tramite lo sviluppo delle foreste, sarebbero vani, qualora non si agisca in maniera efficace.