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Pensioni, verso quota 102

Il Governo è orientato a varare un regime transitorio che consentirebbe ai lavoratori di andare in pensione con 64 anni di età e 38 anni di contributi. Confermate ape social e opzione donna, ma i sindacati chiedono uno sforzo in più

Archiviata l’esperienza di quota 100, il governo è al lavoro per dare forma e ordine al futuro assetto pensionistico. Il cantiere previdenziale, l’ennesimo degli ultimi anni (o decenni), ha partorito la proposta di quota 102, una disciplina che consentirebbe ai lavoratori di andare in pensione con 64 anni di età e 38 anni di contributi. Si tratterebbe tuttavia soltanto di una misura ponte prima di una più ampia e pervasiva riforma previdenziale: quota 102 resterebbe infatti in vigore soltanto nel 2022 e, secondo le stime della relazione tecnica che è stata recentemente inviata al Senato, contribuirebbe a mandare in pensione il prossimo anno un totale di 16.800 lavoratori con un assegno medio di 26mila euro annui.
Confermate, nel disegno del governo, anche opzione donna e ape social, con quest’ultima che vedrebbe esteso da 57 a 221 l’elenco delle mansioni gravose. Varato anche un fondo da 150 milioni di euro per le uscite anticipato nelle piccole e medie imprese messe in crisi dalla pandemia di coronavirus.

L’archiviazione di quota 100

L’abbandono dell’esperimento di quota 100 è dettato soprattutto dai costi elevati che la misura aveva avuto (e sta avendo) sui conti pubblici. Anche l’Ocse, nel suo Economic Survey of Italy, aveva recentemente puntato il dito contro la misura previdenziale e sostenuto lo stop a quota 100. “Se quota 100 fosse adottata su base permanente, la spesa pensionistica registrerebbe un aumento cumulativo pari a 11 percentuali del Pil tra il 2020 e il 2045”, aveva scritto l’istituto nel rapporto. L’Ocse si era poi spinta ancora più in là, arrivando a chiedere uno stop anche per le pensioni di reversibilità e per opzione donna. “La cosiddetta opzione donna che dà diritto al pensionamento anticipato con un trattamento calcolato su base contributiva fino al dicembre 2021, non andrebbe rinnovata, poiché amplifica i rischi di povertà in età avanzata”, si leggeva nel rapporto.
L’ultima critica a quota 100 è arrivata da Elsa Fornero, economista che, da ministro del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Monti, aveva varato una profonda riforma previdenziale per tenere sotto controllo i conti pubblici. "Quota 100 è stato un passo indietro, molto costoso, che ha dato benefici a pochi e che non ha affatto mantenuto la promessa di aumentare l'occupazione giovanile in sostituzione di quella più anziana”, ha commentato Fornero. “Il governo Draghi – ha proseguito – sapeva di dover tornare ad una situazione di maggiore sostenibilità della spesa pensionistica senza scaricare i costi sulle generazioni più giovani". Secondo l’ex ministro, l’esperimento ha fallito soprattutto sul fronte occupazionale. “Il presidente Giuseppe Conte (presidente del Consiglio al momento dell’approvazione di quota 100, ndr) disse, all'epoca, che ci sarebbero state tre assunzioni per ogni uscita. È successo il contrario: un ingresso per ogni tre uscite”.

La posizione dei sindacati

Il cantiere, seppur posto in una chiara direzione, è dunque ancora aperto. Recentemente un decreto del ministero dell’Economia ha stabilito che non ci sarà alcun aumento dell’età pensionabile fino al 31 dicembre 2024 a seguito della variazione negativa della speranza di vita a causa della pandemia: l’età di pensionamento resterà cosi congelata a 67 anni.
Prosegue intanto il dialogo con le parti sociali e, in particolare, con i sindacati. Le organizzazioni dei lavoratori avrebbero espresso perplessità di fronte alla proposta del governo. Il dialogo, preludio a un più stretto confronto che l’esecutivo vorrebbe garantire in vista di una più ampia riforma previdenziale, avrebbe generato l’ipotesi alternativa di una pensione anticipata a 62 anni, a patto però che l’assegno venga calcolato con il solo metodo contributivo. Posizioni che restano tuttavia lontane dalla proposta dei sindacati: le organizzazioni avrebbero avanzato l’ipotesi di un’uscita dal mercato del lavoro a 62 anni di età o 41 anni di contributi. Nelle richieste dei sindacati, anche il riconoscimento degli anni di formazione e il riscatto gratuito della laurea per le generazioni più giovani.