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Paradisi fiscali, le mete preferite dalle banche europee

Circa il 25% degli utili realizzati dalle banche europee sono contabilizzati in Paesi con un’aliquota fiscale effettiva inferiore al 15%. Per mettere un freno al ricorso ai paradisi fiscali, andrebbe permesso ai Paesi di origine degli istituti di colmare il “deficit fiscale”

Bahamas, Bermuda, Isole Vergini britanniche, Isole Cayman, Guernsey, Gibilterra, Hong Kong, Irlanda, Isola di Man, Jersey, Kuwait, Lussemburgo, Macao, Malta, Mauritius, Panama e Qatar sono le 17 giurisdizioni identificate dall’Osservatorio fiscale europeo come paradisi fiscali, in cui le banche europee hanno operato dal 2014. Le principali banche europee, si legge nello studio pubblicato da poco dall’Osservatorio, hanno registrato utili ogni anno per circa 20 miliardi di euro nei paradisi fiscali, cioè il 14% dei loro profitti totali. Tale percentuale è stabile dal 2014 nonostante l’introduzione dell’obbligo di informativa. 

Una redditività “anormale” 

La redditività delle banche nei paradisi fiscali è, si legge nel report “anormalmente elevata”: si tratta di 238mila euro per dipendente, rispetto ai circa 65mila realizzati nei Paesi, per esempio come l’Italia, la Francia, la Germania, che hanno una politica fiscale non agevolata. “Ciò suggerisce – continua l’Osservatorio – che i profitti registrati nei paradisi fiscali provengono da altri Paesi in cui si verifica l’effettiva produzione di servizi”. Circa il 25% degli utili realizzati dalle banche europee sono contabilizzati in Paesi con un’aliquota fiscale effettiva inferiore al 15%.

Aliquote fiscali anche allo 0% 

L’analisi, che copre 36 banche europee sistemiche che sono state tenute a comunicare pubblicamente i dati Paese per Paese, studia il livello e l’evoluzione degli utili contabilizzati da queste banche nei paradisi fiscali nel periodo 2014-2020, calcolando anche il loro deficit fiscale, definito come la differenza tra ciò che queste banche pagano attualmente in tasse e ciò che pagherebbero se fossero soggette a un’aliquota fiscale minima in ciascun Paese. 

L’utilizzo dei paradisi fiscali varia notevolmente da banca a banca. La percentuale media degli utili contabilizzati nei paradisi fiscali è di circa il 20% e va dallo 0% di nove banche a un massimo del 58%. L’aliquota media effettiva pagata dalle banche del nostro campione è del 20%, con un minimo del 10% e un massimo del 30%. Sette banche presentano un’aliquota fiscale effettiva particolarmente bassa, inferiore o uguale al 15%.

Una tassa minima internazionale è utile 

Il punto centrale è poter definire un’aliquota minima effettiva, in modo che ogni Paese d’origine delle banche nei paradisi fiscali possa riscuotere il deficit fiscale delle proprie banche. Ad esempio, se l’aliquota minima concordata a livello internazionale è del 15% e una banca multinazionale tedesca ha un’aliquota fiscale effettiva del 10% sugli utili che registra a Singapore, la Germania imporrebbe un’imposta aggiuntiva del 5% su questi utili per arrivare a un tasso effettivo del 15%. 

I risultati dell’Osservatorio mostrano che una tassa minima ha un potenziale di reddito significativo. Con un’aliquota minima del 25%, il campione di banche europee dovrebbe pagare 10-13 miliardi di tasse aggiuntive all’anno. Aliquote più basse riducono i guadagni a 6-9 miliardi di euro, per un’aliquota del 21%, e 3-5 miliardi per un’aliquota del 15%. Le banche con basse aliquote fiscali effettive, che quindi tendono a utilizzare i paradisi fiscali per spostare i profitti e ridurre il loro debito fiscale, sarebbero particolarmente colpite. 

Un freno ai paradisi fiscali 

La conclusione dell’Osservatorio è però amara: “i nostri risultati – scrivono gli analisti – suggeriscono che, nonostante la crescente rilevanza di questi temi nel dibattito pubblico e nel mondo politico, le banche europee non hanno ridotto il loro uso dei paradisi fiscali dal 2014. Iniziative più ambiziose, come una tassa minima globale con un’aliquota del 25% – conclude l’Osservatorio – potrebbe essere necessaria per frenare l’approdo in paradisi fiscali da parte del settore bancario”.