il-default-del-libano-e-l-affanno-dell-argentina

Il default del Libano e l’affanno dell’Argentina

Il paese mediorientale, schiacciato da un debito pubblico al 170% del Pil, non ha pagato i creditori. Dall’altro lato del mondo il presidente argentino Fernandez ha avviato l’iter per chiedere una ristrutturazione

Alla fine ha dovuto alzare bandiera bianca. Il Libano, colpito da una forte crisi di liquidità e dopo mesi di proteste antigovernative, il 9 marzo scorso avrebbe dovuto rimborsare bond europei per 1,2 miliardi di dollari. Ma due giorni prima, il 7 marzo, il primo ministro Hassan Diab, aveva reso noto che le riserve di valuta estera erano scese a “un livello preoccupante e pericoloso che hanno spinto il governo a sospendere il pagamento” alla scadenza. E, in un discorso alla tv, ha annunciato che lo stato libanese avrebbe cercato di “ristrutturare i suoi debiti, in modo coerente con l’interesse nazionale, avviando negoziati equi con tutti i creditori”. L’onere del debito del Libano, il secondo più alto al mondo, è arrivato a circa il 170% del prodotto interno lordo. Nonostante una serie di crisi, il Paese non aveva mai dichiarato fallimento prima d’ora, ma negli ultimi mesi ha affrontato la sua peggiore turbolenza economica dalla guerra civile del 1975-1990.

Proteste contro il carovita dopo l’annuncio

Il default arriva a conclusione di un periodo piuttosto turbolento per il paese mediorientale, che è stato attraversato da dure proteste da metà ottobre dello scorso anno, contro un modello economico che mischia clientelismo e settarismo. Proteste che non si sono placate nemmeno dopo l’annuncio del default, riempiendo le piazze di Beirut e Tripoli, mentre altre manifestazioni, cortei e sit-in si erano svolte tra il 7 e l’8 marzo. Le manifestazioni si sono svolte di fronte alla sede del ministero dell’Istruzione a Beirut, mentre a Tripoli, 90 km a nord della capitale, gli attivisti hanno bloccato l’accesso ad alcune strade dentro e fuori la città, uno degli epicentri della mobilitazione in corso da metà ottobre.

L’origine del tracollo


All’origine del tracollo finanziario c’è una situazione di conti pubblici che da tempo versava in una situazione grave. Il deficit ha superato il 10%, e già nel 2018 il deficit delle partite correnti aveva sfondato il 25% del Pil. La crisi scoppiata in autunno, e le grandi proteste di piazza, avevano spinto le banche a operare forti restrizioni ai prelievi e ai trasferimenti in dollari. Gli afflussi di valuta estera sono rallentati, la lira libanese è precipitata e le banche hanno imposto forti restrizioni ai prelievi e ai trasferimenti di dollari. Ultimamente le riserve in valuta straniera detenute dalla banca centrale, necessarie anche per ripagare debitori esteri, si erano andate riducendo in modo preoccupante. Tanto che le banche, oltre ai limiti imposti ai prelievi, spesso si rifiutavano di convertire la lira libanese in dollari. Misura che aveva inferto un colpo davvero duro alla capacità del Paese di importare beni dall’estero. Il governo doveva quindi decidere se continuare a usare le sue riserve in valuta pregiata per ripagare il debito o saltare il pagamento di lunedì e conservarle per le importazioni.

Buenos Aires sotto osservazione

Negli stessi giorni, il 9 marzo, un altro grande paese i cui conti pubblici sono da sempre in affanno, ha aperto le porte a una possibile ristrutturazione del debito: l’Argentina. La decisione da parte del governo di Buenos Aires è arrivata nel momento in cui la situazione finanziaria pubblica del paese è in rapido peggioramento: il peso del debito rappresenta oltre il 90% del Pil, e il paese è in recessione. Il decreto firmato il 9 marzo dal presidente Alberto Fernandez autorizza il ministero dell’Economia a rinegoziare con i creditori un debito nominale da 68.842 miliardi di dollari, pari ai due terzi del debito detenuto da privati e circa un quinto del debito estero totale. Buenos Aires vorrebbe ritardare la scadenza di alcuni prestiti, ma anche trovare un accordo per ridurne l’importo.
Negli ultimi mesi il peso argentino ha continuato a perdere valore; le esportazioni di prodotti agricoli sono crollate, molte aziende e imprenditori hanno ritirato i loro investimenti dal paese, peggiorando la situazione e l’indebitamento di alcune grandi società. Nel 2018 il precedente governo argentino aveva ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale 57,1 miliardi di dollari, ma la situazione finanziaria aveva spinto il governo a chiedere di avviare dei negoziati per riprogrammare e spostare le scadenze di restituzione del credito. Qualche settimana fa l’Fmi aveva fatto sapere che il debito argentino era effettivamente troppo pesante per essere rimborsato alle condizioni attualmente previste: aveva definito i livelli di debito del paese “insostenibili”, anticipando che sarebbe stato necessario un “contributo significativo” da parte dei creditori privati per aiutare a ripristinare la sostenibilità.