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Venezuela sull’orlo del default

Il presidente Maduro ha chiesto la ristrutturazione del debito pubblico. Le agenzie di rating hanno declassato a “spazzatura” i titoli di Stato del Paese

Da mesi il Venezuela versa in una drammatica crisi politico-istituzionale ed economica. La situazione sta rapidamente precipitando su entrambi i fronti. A inizio novembre le agenzie di rating internazionali Standard & Poor’s e Fitch hanno declassato i titoli di Stato, collocandoli nel territorio delle obbligazioni spazzatura (junk bond) meno affidabili. La decisione è avvenuta all’indomani dell’annuncio del presidente Nicolas Maduro della ristrutturazione del debito pubblico del Paese. Fitch ha tagliato il rating a lungo termine del Venezuela da CC a C, affermando però che un default del Paese è “altamente probabible”. Standard & Poor’s ha tagliato il giudizio sul Venezuela da CCC- a CC. In precedenza anche l’agenzia Moody’s aveva affermato che in caso di ristrutturazione le perdite avrebbero potuto essere “significative”. 

Secondo Richard Francis, analista di Fitch, “non si può andare oltre, a meno che non facciano default. Se non fanno i pagamenti nel periodo di grazia – ha spiegato all’agenzia Bloomberg – il rating sovrano andrà a RD e le emissioni attuali a D, che significa che i bond sarebbero in default”. Un fallimento tecnico, del resto, appare quanto mai probabile dal momento che Maduro si è impegnato a rifinanziare e rinegoziare il debito estero. Lo stato venezuelano, l’impresa petrolifera Pdvsa e l’azienda elettrica di stato devono pagare circa 800 milioni di dollari di interessi. Le attese che il Paese diventi inadempiente nei prossimi cinque anni hanno raggiunto il record di sempre del 99,98%, secondo le quotazioni dei credit-default swap raccolti da Bloomberg. Il Venezuela potrebbe saltare il pagamento nei bond emessi o “proporre un’operazione di scambio equivalente ai default nei prossimi tre mesi”, ha affermato l’analista di S&P Manuel Orozco, aggiungendo che “le sanzioni Usa al Venezuela avranno come effetto un lungo e difficile negoziato con i bondholder”. 


Banche italiane poco esposte

L’analogia che molti fanno in questo momento è quella con il default dell’Argentina del 2001, ma l’impatto potrebbe essere in questo caso meno doloroso per i risparmiatori italiani rispetto a quanto accaduto con i Tango-bond. L’esposizione delle banche italiane verso il Venezuela è infatti molto limitata. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali il debito venezuelano in mano agli istituti italiani valeva appena 79 milioni di dollari a fine giugno 2017. Di questi solo 3 milioni di dollari vedono come controparte il settore ufficiale, e sono quindi presumibilmente dei titoli di stato di Caracas. Appare invece più complesso tracciare l’esposizione diretta dei risparmiatori italiani ai bond venezuelani, almeno fino a quando non ci sarà una conta con la proposta di ristrutturazione che andrà approvata dai creditori o, nel caso limite, un default con un rappresentante chiamato a rappresentare i bondholder. Il debito del Venezuela potenzialmente a rischio è comunque molto importante, a seconda degli analisti viene stimato tra i 100 e i 150 miliardi di dollari. Per un confronto, il maggior default pubblico della storia che si è visto nel 2001 proprio con l’Argentina valeva 80 miliardi di dollari.


Ufficialmente in iperinflazione 

In tutto ciò, il tasso di inflazione congiunturale venezuelano ha superato il 50% durante lo scorso mese di ottobre, per cui l’economia del Paese si trova ormai ufficialmente in iperinflazione, con un’inflazione generale che a ottobre ha raggiunto il 50,6% rispetto a settembre. Lo ha annunciato la Econometrica, azienda privata che fornisce dati macroeconomici, in assenza di statistiche ufficiali della Banca Centrale. Vari analisti economici hanno segnalato che la notizia non può stupire, giacché il governo di Nicolas Maduro sta applicando da anni politiche conosciute per il loro alto impatto sull’inflazione, come l’emissione indiscriminata di moneta da parte della Banca Centrale e un controllo dei prezzi e della valuta che ha portato a un crollo della produzione interna.