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Commercio, i nuovi accordi contro il protezionismo

C'è una nuova generazione di contratti commerciali, utilizzati soprattutto dai Paesi dell'Unione Europea, che sfidano dazi e tariffe non solo nell'export di merci ma anche lungo un più ampio spettro di rapporti economici. Insomma, un volano per le imprese italiane

Nel clima di ritorno al protezionismo, gli accordi bilaterali tra Paesi (o aree commerciali) tornano a essere uno strumento importante, se non necessario, per lo sviluppo dell’export. È quanto sostiene Confindustria nel suo nuovo rapporto sugli accordi commerciali, pubblicato pochi giorni fa. Secondo viale dell’Astronomia, questi accordi sono “un volano per le imprese italiane”, potenzialmente, e in particolare, per le piccole e medie, molto attive, come noto, nella vendita all’estero dei propri prodotti. Gli accordi “di nuova generazione” investono un ampio spettro di rapporti economici, che non si limita allo scambio di merci e servizi, ma comprende anche investimenti, appalti pubblici, concorrenza, sovvenzioni e normative. L’Unione Europea, tra l’altro, è la maggiore utilizzatrice di accordi preferenziali nel mondo: ha ben 42 accordi attivi con 73 Paesi diversi. Tra i più importanti, si possono citare quelli con Corea del Sud, in vigore da luglio 2011, Canada, dal settembre 2017 e Giappone, in vigore da neanche da un anno (febbraio 2019). Gli accordi, scrive il centro studi di Confindustria, hanno avuto un forte impatto positivo sulle esportazioni europee e, soprattutto, italiane. Secondo le stime, hanno generato una maggiore crescita delle vendite italiane in Corea del Sud di circa il 55% nel lungo periodo e in Canada di quasi il 10% in due anni. L’effetto positivo in Giappone è già visibile ma ridotto, dato il breve periodo di applicazione dell’accordo. I trattati preferenziali hanno favorito l’export italiano attraverso sia un sostanziale annullamento dei dazi sia una riduzione delle barriere non tariffarie agli scambi. L’eliminazione dei dazi vale circa metà dell’effetto complessivo dell’accordo con la Corea del Sud, cioè una crescita del 28% dell’export in quel Paese. 

La crisi d'autorità del Wto 

Gli accordi commerciali tra Paesi sono sempre più importanti, soprattutto dopo che l’autorità dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) è messa in discussione: dallo scorso 10 dicembre, l’organo di appello del meccanismo di risoluzione delle dispute commerciali non è più in grado di svolgere la propria funzione, a causa del blocco da parte degli Stati Uniti dell’elezione di nuovi membri. Il lavoro dell’Unione Europea sugli accordi preferenziali è notevole: e non da oggi. La precedente Commissione Europea aveva già firmato un trattato con il Vietnam, concluso un’intesa politica per un nuovo accordo con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) e con il Messico, che rinnoverà il precedente accordo del 2000. Infine, sono state concluse le negoziazioni con Australia e Nuova Zelanda, e anche per quei Paesi si attendono a breve ulteriori sviluppi normativi. 

Le complessità da affrontare 

Ma le cose non sono così semplici. La dinamica degli scambi bilaterali, fa notare Confindustria, è determinata da tante altre variabili, non connesse agli accordi stessi. In primis, non è possibile pensare di annullare totalmente gli effetti delle spinte protezionistiche che, se è vero che si sono rafforzate nel biennio 2018-2019, aleggiano sul commercio globale dal 2013. Poi ci sono da considerare le caratteristiche degli esportatori, la competitività dei prodotti, e tutti i fattori di cambio, come il costo, il prezzo e la qualità; a seguire ci sono le variabili che influenzano la domanda di importazione, in particolare la loro crescita economica e la competitività dei prodotti interni ai Paesi di destinazione. Altri fattori bilaterali riguardano i rapporti tra le due aree (per esempio Eurozona e Asia-Pacifico): in particolare il tasso di cambio e i movimenti complessivi delle valute rispetto a tutte le altre principali valute mondiali). “Per tenere in conto molti di questi fattori – dicono gli analisti –, è utile analizzare la dinamica degli scambi bilaterali al netto di quella complessiva per i Paesi oggetto dell’accordo”. 

Rischi e opportunità per le piccole imprese 

Nell’analisi si scopre, per esempio, che le barriere (soprattutto quelle non tariffarie) sono particolarmente stringenti per le piccole imprese, che hanno conoscenze manageriali e risorse finanziarie limitate e incontrano maggiori difficoltà a reperire informazioni e identificare i partner internazionali. Le imprese con meno di 50 addetti rappresentano la grande maggioranza delle imprese esportatrici nei mercati extra-Ue e, nel caso dell’Italia, generano una quota rilevante delle vendite. Per quanto riguarda l’export italiano extra-Ue, le piccole imprese rappresentano ben il 91% delle aziende e il 23% del fatturato. Nel confronto con la Germania, la stessa tipologia di attività rappresenta l’80% ma appena l’8% delle vendite.Le nostre aziende, quindi, possono beneficiare fortemente della riduzione delle barriere non tariffarie introdotta dagli accordi preferenziali; allo stesso tempo, però, possono trovare particolarmente gravoso il peso amministrativo delle nuove normative. Confindustria parla di “storie di successo” che riguardano esportatori europei di beni alimentari (vino, formaggi, frutta) in Canada, ma è ancora presto per trarre una tendenza. In definitiva, però, Canada, Giappone e Corea del Sud rappresentano destinazioni con un potenziale ancora tutto da esplorare. Protezionismo permettendo.