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I numeri della pensione complementare

Ben 438 i fondi disponibili in Italia. E cresce il patrimonio del settore

In calo di dieci unità rispetto al 2015, ma i numeri restano comunque considerevoli. Per chi volesse aderire a una qualche forma di previdenza complementare, unendosi così ai 12,5 milioni di italiani già iscritti, c’è solo l’imbarazzo della scelta: in Italia, nel 2016, si contavano 438 investitori istituzionali.
Il dato arriva dal rapporto Investitori istituzionali: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2016, quarta edizione della periodica pubblicazione curata dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali. Ampia ed esaustiva, la ricerca punta a fornire una panoramica quantitativa su tutto quello che ruota attorno al mondo dei fondi pensione in Italia, fornendo dati e cifre su investitori, iscritti, patrimoni e rendimenti. Argomenti da addetti ai lavori, ma utili anche per chi volesse sapere qualcosa in più su come costruirsi una pensione di scorta.
E così, scorrendo le pagine del rapporto, si scopre per esempio che, a fronte del già citato calo degli investitori istituzionali, il patrimonio del settore ha chiuso l’annata in territorio positivo: nel 2016 le masse gestite si sono attestate a 227,61 miliardi di euro, in crescita del 98% rispetto al 2004. Numeri che divengono ancor più elevati se si considera il contributo di fondi pensione aperti e Pip (47,76 miliardi di euro) e, soprattutto, i 517 miliardi di euro in riserve delle compagnie di assicurazione, inserite per la prima volta quest’anno nel rapporto. A conti fatti, il patrimonio complessivo ammonta a 792,67 miliardi di euro, pari al 48% del Pil.
Stazionario, invece, il trend dei rendimenti. Se il 2016 si è chiuso in linea con quanto fatto registrare nell’anno precedente, maggiori dubbi destano le stime preliminari sui primi mesi del 2017: in particolare, rileva il rapporto, fondi negoziali e Pip starebbero facendo fatica a mantenersi sopra il livello dei rendimenti obiettivo (inflazione, media quinquennale del Pil e Tfr). Una situazione, quest’ultima, che sta costringendo i gestori a cercare nuove asset class, magari slegate dal regime di bassi tassi di interesse e dalla volatilità dei mercati.