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Italia le ragioni della crisi di fiducia

Pubblicato il 53° rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, con interessanti spunti che impattano sull’organizzazione e sul funzionamento del nostro sistema di assistenza

Il 53° rapporto Censis traccia il quadro di un’Italia con sempre meno nascite e pochissimi giovani: non è certo una novità, ma osservare un’immagine del nostro paese tanto invecchiata, attraverso le cifre degli indicatori demografici, fa certamente effetto.
La prima vera flessione demografica l’abbiamo registrata nel 2015 e da allora contiamo 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti.
Secondo i rilevamenti del Censis, nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017, ed anche i figli di genitori stranieri sono calati di ben 12.261 unità rispetto a cinque anni fa.
Per contro, l’Italia invecchia. Nel 1959 ben 27,9 milioni di abitanti, cioè il 56,3% della popolazione complessiva, erano al di sotto dei 35 anni e solo il 9,1% superava il 64° anno di età. A vent’anni di distanza, invece, gli under 35 rappresentano il 31,2% degli abitanti e gli over 64 sono cresciuti al 31,6%. Inoltre si segnala il grande impatto del fenomeno dell’emigrazione sulla diminuzione della popolazione giovanile: nell’ultimo decennio più di 400.000 cittadini italiani tra i 18 e i 39 anni e ben 138.000 giovani con età inferiore a 18 anni hanno abbandonato l’Italia.

Preoccupati per il futuro
Ciò che più impressiona è l’immagine di un paese preda dell’incertezza: il 69% dei nostri concittadini sarebbe infatti vittima dell’ansia generata dal trend negativo sull’ammontare delle retribuzioni e dei redditi, che ha caratterizzato la nostra società negli ultimi decenni. Mentre il 63% degli operai ritiene di essere inchiodato nella condizione socioeconomica attuale, il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme una “scivolata verso il basso” rispetto alla condizione attuale.
Non più del 14% degli italiani si dice ottimista nei confronti del futuro e tale atteggiamento sarebbe alla base dell’incremento del 33,6% del contante presente nei depositi bancari, dal momento che i nostri concittadini non investono più, proprio a causa della sfiducia e dell’incertezza che si sono diffuse.
Tutto questo pessimismo causa infine un’estesa condizione di ansia e di stress, al punto che è aumentato del 23% il consumo di ansiolitici e sedativi e che il 48% dei nostri concittadini dichiara oggi di desiderare «un uomo forte al potere», capace di contrastare l’insicurezza e il disorientamento che sembrano dominare gli stati d’animo.

Una sanità che pesa sulle famiglie
Il sistema sanitario, che dovrebbe fungere da sponda e supporto, rispetto ad uno stato psicologico tanto precario ed all’invecchiamento della popolazione, attraversa secondo il Censis una profonda rivoluzione, che lo porta ad essere sempre più improntato a una sorta di “logica combinatoria”.
Gli italiani, infatti, si rivolgono sempre più sia al Servizio Sanitario pubblico, che agli operatori delle strutture private.
Nel corso del 2018, ben il 62% degli italiani che hanno usufruito di una prestazione nell’ambito del sistema pubblico, ne ha ricevuta almeno una anche dal sistema della sanità a pagamento. Ciò non ha a che vedere col reddito percepito, perché, se tale percentuale si alza al 68,9% per chi possiede un reddito di oltre 50.000 euro annui, il rapporto indica che ben il 56,7% di chi ha un reddito basso ha seguito la medesima strada: insomma, su 100 prestazioni rientranti nei Lea che i cittadini hanno prenotato nel settore pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento.
Sono poi notevoli le differenze territoriali riscontrate su questo punto: il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% nel Centro, il 33,2% al Sud. A causa della differenza di reddito, questo fenomeno provoca una pressione della spesa sanitaria privata assai varia: se è vero che la stessa pesa molto o abbastanza sul bilancio familiare per l’81,5% degli italiani, lo spaccato territoriale si divide tra il 77,8% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 76,5% per gli abitanti del Nord-Est, l’82,5% nel Centro e l’86,2% al Sud del paese.
Ci si rivolge al di fuori del servizio pubblico per preferenze chiaramente soggettive, ovvero per ottenere prestazioni nei tempi e nelle modalità desiderate, ma è anche vero che accedere al Ssn comporta spesso liste di attesa troppo lunghe e che molti servizi e specialità non sono presenti ovunque e la qualità dell’assistenza è alquanto disomogenea.
La presenza dei cosiddetti percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali per le patologie oncologiche, ad esempio, è distribuita in modo assai diverso tra le Regioni del Nord (in cui si supera una copertura dell’85%), del Centro (67%) e del Sud (52%).

Una nuova concezione di benessere
Sembra che sia mutata, insomma, la concezione che gli italiani hanno del benessere, che viene percepito sempre di più come la combinazione tra uno stato di equilibrio psicologico, soddisfazione, tranquillità e felicità, per il quale concorrono fattori non solo soggettivi, ma legati profondamente alla qualità del territorio e dei servizi che in esso vengono erogati. Solo dieci anni fa una percezione tanto ampia del benessere si poteva riscontrare nel 17,4% degli italiani: oggi condivide questa opinione più del 48% dei nostri concittadini.
In un Paese che invecchia rapidamente e nel quale aumentano le persone che vivono da sole, la rete familiare è ancora considerata il più importante ausilio per regolare i rapporti tra le diverse generazioni. La capacità di creare relazionalità all’interno delle comunità diventa però sempre più una priorità ed in questo contesto il settore dell’assistenza assume un’importanza fondamentale.
Lo studio del Censis rivela come in Italia le persone non autosufficienti sono oltre 3 milioni e mezzo, con un aumento del 25% rispetto al 2008. Si tratta per lo più di anziani (l’80,8% ha più di 65 anni) e la percentuale di non autosufficienti supera di poco il 20,8%. Le soluzioni proposte dal settore pubblico sono purtroppo insufficienti e inadeguate alla bisogna e ciò apre la strada all’intervento di tanti privati che da qualche tempo hanno cominciato ad investire fortemente in quest’ambito, tenendo anche conto del fatto che il fenomeno può solo crescere, considerato il trend di invecchiamento progressivo della popolazione di cui si è parlato.


Una richiesta di supporto e previdenza
Il 56% degli italiani dichiara di non essere soddisfatto dei principali servizi socio-sanitari per i non autosufficienti presenti nella propria regione e ancora una volta questo dato è marcato da profonde differenze a livello territoriale: il 45,5% dei residenti al Nord-Ovest, il 33,7% nel Nord-Est, il 58,2% nel Centro, il 76,5% al Sud.
L’onere della non autosufficienza ricade quindi direttamente sulle famiglie, chiamate a contare sulle proprie risorse, sia a livello economico, che di disponibilità materiale. Per il 33,6% delle famiglie con un componente non autosufficiente, le spese di welfare pesano molto sul bilancio ed è sempre più forte la richiesta di un supporto economico da parte dello Stato.
Ciò comporta anche un aumento dell’insoddisfazione e del risentimento nei confronti del sistema previdenziale, che affronta oggi una realtà assai diversa da quella in cui il suo funzionamento è stato pensato. Il 53,6% delle pensioni erogate in Italia risulta inferiore a 750 euro mensili e non è certo un caso che il 73,9% degli italiani chieda di aumentare questo importo con l’aiuto del cosiddetto sistema previdenziale multipilastro.
Eppure, nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, ovvero circa il 34% degli occupati e la quota di iscritti cala drasticamente (al 27%) per i più giovani, mentre solo il 23% degli italiani dichiara di conoscere in che cosa consista effettivamente la previdenza complementare.