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Ocse, in Italia si va in pensione troppo presto

L’età di pensionamento effettiva si attesta a 62 anni: serve adesso, secondo l’organismo internazionale, un innalzamento della soglia che possa dare maggior sostenibilità all’assetto previdenziale. Le ultime novità, in particolare quota 100 e blocco dell’adeguamento dei requisiti all’aspettativa di vita, non vanno in questa direzione

Gli italiani vanno in pensione troppo presto. Il sistema previdenziale rischia di andare in crisi e, per garantirne la stabilità a lungo termine, è necessario innalzare la soglia legale di uscita dal mercato del lavoro. Di quota 100, così come di qualsiasi altra forma di sconto, neanche a parlarne.
Il monito arriva dal rapporto Pensions at a glance dell’Ocse. E costituisce l’ennesima bocciatura del sistema previdenziale italiano. In particolare, sottolinea l’organismo internazionale, l’età effettiva di pensionamento risulta ancora estremamente bassa: appena 62 anni, circa due anni in meno della media Ocse e cinque sotto la soglia legale per accedere alla pensione di vecchiaia (67 anni). Per questo motivo è necessario “aumentare l'età effettiva di ritiro dal lavoro”. Cosa che le recenti novità normative non avrebbero minimamente fatto: l’introduzione di quota 100 e il blocco dell’adeguamento dei requisiti di pensione all’aspettativa di vita nel 2021, a detta dell’Ocse, avrebbero anzi riportato l’Italia indietro rispetto ai passi in avanti fatti con le riforme degli ultimi anni.
Lo sguardo è ora rivolto al futuro. Attualmente, in Italia, la combinazione fra elevata età pensionabile obbligatoria e alto tasso di contribuzione (33%) consente di andare in pensione con un tasso di sostituzione molto elevato: 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena, contro una media Ocse che si ferma al 59%. L’introduzione della cosiddetta pensione di cittadinanza ha inoltre innalzato i benefici per la pensione di vecchiaia, portandoli al di sopra della media per questo genere di strumenti. Il risultato è che il reddito medio di una persona con più di 65 anni in Italia è paragonabile a quello dell’intera popolazione, mentre nell’area Ocse risulta mediamente più basso del 13%.
L’attuale andamento del mercato, caratterizzato da carriere discontinue e impieghi part time, rischia tuttavia di ripercuotersi sui salari dei lavoratori e, di conseguenza, sulle pensioni che si troveranno a percepire in un sistema previdenziale pienamente contributivo. “Queste forme di lavoro – avverte l’organizzazione internazionale – aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre – prosegue l’organismo – i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati”. Attualmente, secondo alcune proiezioni basate sulla legge Fornero, chi entra oggi nel mondo del lavoro potrà andare in pensione di anzianità a 71 anni di età.
Sullo sfondo resta infine la questione del bilancio pubblico, messo sempre più sotto pressione dall’invecchiamento generalizzato della popolazione: l’Italia spende attualmente il 16% del Pil in pensione, il secondo livello più alto dell’area.