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Pensioni, rischio povertà per i giovani

Secondo il Rapporto sullo stato sociale 2019, carriere discontinue e basse retribuzioni potranno generare assegni previdenziali inadeguati per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995

Quello fra giovani e pensioni resta un binomio difficile da sciogliere. L’ultimo allarme arriva dal Rapporto sullo stato sociale 2019, pubblicazione periodica realizzata dall’università La Sapienza di Roma e curata da Felice Roberto Pizzuti. La conclusione della ricerca è netta: i giovani di oggi rischiano di percepire una pensione da fame. Più nello specifico, il rapporto evidenzia come oltre la metà dei lavoratori assunti dopo il 1995, a seguito di carriere discontinue e basse retribuzioni, rischi di maturare una pensione inadeguata al proprio stile di vita e, soprattutto, incapace di offrire qualche tutela dalla povertà.
A conti fatti, non si tratta di una grande novità. Il tema è noto e la conclusione del rapporto ricalca sostanzialmente quanto già emerso in studi e analisi realizzati dal 1995, ossia da quando la cosiddetta riforma Dini, introducendo il sistema contributivo, ha posto la continuità lavorativa fra le priorità di chi vuole costruirsi una pensione adeguata. Anni di studi e analisi per giungere alla medesima conclusione: il sistema non appare sempre in grado di tutelare i lavoratori. Le numerose riforme che si sono rincorse negli ultimi vent’anni, volte anche a garantire una tenuta di bilancio sempre più fragile, sono forse il sintomo più evidente di un problema che non si riesce a risolvere. E anche le recenti misure adottate dall’attuale governo non sembrano in grado di invertire la rotta.
Stando all’analisi del rapporto, quota 100 e reddito di cittadinanza rischiano infatti di non avere l’effetto desiderato. E ciò principalmente in ragione dello scarso appeal che stanno avendo fra i cittadini. Le domande per il reddito di cittadinanza sono ferme a 1,2 milioni, con un tasso di rifiuto del 25-27% che mantiene ancora lontano il target dei cinque milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà. Lo stesso dicasi per quota 100: con appena 116mila richieste arrivate a metà aprile, l’obiettivo governativo di 365mila beneficiari si pone sempre più come un’utopia. Il tutto trascurando l’impatto che simili misure potranno avere sul bilancio dello Stato una volta andate a regime.
Quello che serve, a detta del rapporto, è un intervento strutturale che possa risolvere le distorsioni del sistema pensionistico e garantire ai lavoratori un’esistenza dignitosa una volta andati in pensione. In caso contrario, il binomio fra giovani e pensioni rischia di restare irrisolto.