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Siamo davvero ciò che mangiamo?

Il Perclorato è un pericoloso additivo che non compare nell’elenco degli ingredienti: per il suo uso negli imballaggi e nei prodotti per la pulizia dei macchinari industriali, esso arriva a contaminare gli alimenti, con conseguenze gravi soprattutto per i bambini

Un rapporto pubblicato recentemente dall’Environmental Working Group, associazione ambientalista americana non-profit, ha rilevato che nel confezionamento dei prodotti alimentari non biologici vengono ammesse circa 2.000 sostanze sintetiche, utilizzate per prolungare la durata della conservazione o come additivi a vario titolo. Nei prodotti biologici, invece, le sostanze sintetiche approvate sono meno di 40. Eppure, scegliere prodotti organici al supermercato non è sufficiente per proteggersi dalle sostanze chimiche che originano, ad esempio, dagli imballaggi alimentari.
C'è infatti un importante additivo che non compare nell’elenco degli ingredienti ma finisce in molti alimenti, organici o convenzionali che siano.
Si tratta del perclorato, una sostanza che non viene aggiunta al cibo, ma della quale la Food & Drug Administration ha autorizzato in Usa l’impiego, in particolare nella plastica degli imballaggi.

L’impatto sullo sviluppo dei bambini
Il perclorato, che può avere origini sia naturali che sintetiche, suscita ovunque la preoccupazione degli esperti perché può avere un impatto devastante sulla salute dei bambini. È infatti ritenuto responsabile dell’anormale funzionamento della tiroide, perché ridurrebbe la produzione di un ormone necessario per lo sviluppo del cervello: livelli insufficienti di questo ormone nel feto sono stati associati a significative riduzioni del quoziente intellettivo del nascituro.
Da quando nel 2005 l’Fda ha approvato l’uso di questa sostanza chimica nell’industria alimentare, gli scienziati hanno scoperto che l'esposizione al perclorato nei bambini è aumentata significativamente. Nel 2016, ad esempio, l'agenzia ha pubblicato uno studio che dimostrava come i bambini stessero ingerendo il 34% di perclorato in più, rispetto ai livelli precedenti la sua ammissione. Secondo l’Environmental Defense Fund, le percentuali di perclorato sarebbero state particolarmente alte nei prodotti che i bambini avevano più probabilità di mangiare, come latte artificiale, cereali a base di riso e prodotti caseari. Un certo numero di organizzazioni ambientaliste e sanitarie, tra cui l'Ewg e l’Edf, hanno dunque chiesto alla Fda di vietarne l’uso negli alimenti e alcuni Stati dell’Unione stanno valutando se intraprendere un’azione propria, dal momento che la Fda ha interrotto il suo programma di test sulla contaminazione da perclorato dopo il 2012.
Trattandosi di un sottoprodotto della candeggina, questa sostanza chimica è anche utilizzata per la pulizia di macchinari ed attrezzature che servono per la lavorazione degli alimenti ed è possibile che questi vengano contaminati da qualche residuo o a seguito di rotture o dell’errato stoccaggio. Il perclorato svolge inoltre un ruolo importante nel processo di confezionamento perché contrasta l’accumulo di elettricità statica, che può causare scintille o addirittura esplosioni. In Usa esso è considerato un additivo, anche se non è aggiunto al cibo, perché la Fda definisce “additivo alimentare” qualsiasi sostanza utilizzata nella produzione, lavorazione, trattamento, imballaggio, trasporto o stoccaggio del cibo.

Attenzione a imballaggi e acqua
Le conseguenze dell'esposizione al perclorato possono essere mitigate con un'adeguata assunzione di iodio. Il perclorato interferisce infatti con la tiroide, bloccando l'assorbimento dello iodio, che è un elemento fondamentale, in particolare durante la gravidanza e l'infanzia, per uno sviluppo sano del cervello. La sua carenza può compromettere lo sviluppo neurale, con conseguenze che vanno dalla riduzione del QI al deficit di attenzione e all’iperattività. Durante la gravidanza, mentre questo è più vulnerabile all’impatto dell'esposizione al perclorato, le donne tendono inoltre a consumare meno iodio rispetto alle necessità del feto.
Questa sostanza è in grado di contaminare il cibo molto prima che diventi un prodotto al dettaglio.
Se una busta di plastica contenente una tonnellata di riso, ad esempio, viene aperta per versarne il contenuto durante il confezionamento, la velocità del riso che passa attraverso l’apertura del sacco crea un contatto abrasivo tra la busta e il cibo, causando il rilascio della sostanza chimica dall’una all’altro.
Grazie all’uso che ne viene fatto per pulire attrezzature e condotte, inoltre, la contaminazione da perclorato coinvolge anche i rifornimenti idrici, ma nonostante l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti (Epa) stia lavorando da tempo per ridurre l'esposizione del pubblico, manca la definizione di uno standard accettabile, per cui qualsiasi quantità di perclorato presente nell’acqua è considerata legale. Inoltre, come sostanza non regolamentata, essa non viene testata con sistematicità, il che significa che le attuali stime di esposizione sottovalutano probabilmente la portata del problema.

Che succede in Europa
Anche in Europa la presenza di questo contaminante nelle acque utilizzate per l’irrigazione è stata fatta risalire all’uso di acque potabili, che sono ricche di cloro utilizzato nella loro disinfezione. L’uso indiscriminato di disinfettanti superficiali a base di ipoclorito di sodio potrebbe pure esserne una causa: il perclorato può infatti formarsi anche per degradazione di questa sostanza.
La presenza del perclorato è stata rilevata con particolare frequenza nei pomodori, peperoni, cetrioli, zucchine, lattuga, prezzemolo, fagioli, fragole e arance, nonché nei residui di alcuni processi di fermentazione che costituiscono fertilizzanti ammessi nell’agricoltura biologica. Non trattandosi di un fitofarmaco, infatti, i prodotti ortofrutticoli da agricoltura biologica non ne sono esenti.
Gli esperti dell’Efsa hanno stabilito che la dose giornaliera di perclorato che può essere assunta da un individuo adulto sano senza interferire troppo con il funzionamento tiroideo è di 0,3 µg per kg di peso corporeo. Dal momento che è l’assunzione costante a creare problemi, provocando effetti a lungo termine, l’ingestione di alimenti che presentino elevate concentrazioni di perclorati non è considerata un rischio per la salute, se avviene una tantum.
Come si è detto, tuttavia, l’esposizione cronica ai perclorati diventa un fattore pericoloso per le fasce d’età più giovani che presentino carenza di iodio, o per i lattanti che vengano allattati da madri con carenza di iodio.

I limiti ammessi dalla UE
Per tale motivo, il 29 aprile 2015 la Commissione europea ha emanato la Raccomandazione n.682, nella quale si chiede agli Stati membri, con la collaborazione degli operatori del settore alimentare, di monitorare i livelli di questa sostanza negli alimenti. In particolare, tali controlli devono riguardare frutta, ortaggi e relativi prodotti trasformati (compresi i succhi), alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, erbe aromatiche e spezie essiccate, thè, infusioni a base di frutta ed erbe, e infine bevande in genere, inclusa l’acqua potabile.
Nello stesso documento la Commissione Europea stabilisce anche il grado di concentrazione di perclorato che non deve essere superato in alcuni tipi di alimenti: 2 µg/Kg per quelli destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia; 10 µg/Kg per tutti gli altri, ad esclusione di erbe aromatiche, spezie essiccate, thè ed infusioni a base di frutta e erbe, per le quali il limite è di 20 µg/Kg.
Se in Europa esistono dei limiti al suo impiego in ambito alimentare, comunque, bisogna tener presente che importiamo grandi quantità di prodotti destinati alla nostra alimentazione e provenienti da paesi nei quali controlli e normativa sono diversi da quelli che pratichiamo all’interno dell’Ue.

L’impatto di regolamenti anche molto diversi sulla produzione e sul consumo degli alimenti e il livello di vigilanza che necessita per tenere sotto controllo l’enorme flusso di prodotti che attraversano i confini dell’Unione costituiscono un problema col quale la nostra società globale si trova a fare sempre più i conti.
Vale sempre la pena di ricordare che siamo ciò che mangiamo.