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I numeri dell’industria del welfare

Secondo un recente rapporto di Mbs Consulting, nel 2018 la spesa delle famiglie per prestazioni sociali si è attestata a 143,4 miliardi di euro, più del fatturato prodotto nello stesso anno dal settore della moda e da quello alimentare. E la crescente fragilità sociale potrà ulteriormente spingere la crescita del mercato

Come un’industria, in parecchi casi più di un’industria. Nel 2018 la spesa delle famiglie italiane per prestazioni sociali è arrivata a 143,4 miliardi di euro, in crescita del 6,9% rispetto all’anno precedente. Numeri che fanno del welfare uno dei principali settori produttivi del panorama italiano, capace di coprire il 20% della spesa complessiva per prestazioni sociali e l’8,3% del Pil. E che spingono Mbs Consulting, nel suo recente Rapporto sul bilancio di welfare delle famiglie italiane, a parlare di “industria del welfare”, al pari di altri settori produttivi che nel 2018 hanno avuto performance inferiori. Giusto per avere un’idea, il fatturato della moda si è fermato a 95,7 miliardi di euro, quello alimentare a 137 miliardi di euro. Persino la raccolta complessiva del settore assicurativo, ferma a 139,5 miliardi di euro, non è riuscita a superare l’asticella posta dalle famiglie che ogni giorno devono fare i conti con prestazioni necessarie e sempre più ineludibili.
Il capitolo di spesa più rilevante riguarda la salute: nel 2018 la spesa sanitaria delle famiglie italiane è arrivata a 37,7 miliardi di euro, in crescita dell’11,9% rispetto all’anno precedente. Seguono dunque i supporti al lavoro, ossia le spese per pasti e trasporti resi necessari da esigenze lavorative (31,9 miliardi di euro), e l’assistenza ad anziani e non autosufficienti, area di welfare che si intesta 27,9 miliardi di euro e una crescita del 10,3% su base annua.
La spesa media per famiglia si attesta a 5.611 euro all’anno, dato in crescita del 4% rispetto al 2017 e pari al 18,6% di un reddito medio annuo calcolato in 30.134 euro. Numeri tuttavia fuorvianti, visto che nascondono alle loro spalle un’ampia forbice di valori. Secondo i risultati del rapporto, nel 2018 la spesa varia infatti dai 3.206 euro delle famiglie più fragili ai 13.030 euro dei nuclei più facoltosi. Anche l’incidenza sul reddito cambia a seconda della disponibilità di spesa, facendo emergere una relazione inversa fra entità del reddito e peso sul bilancio familiare: per le famiglie più deboli il dato schizza al 22%, mentre i nuclei agiati possono confrontarsi con una ben più agevole incidenza del 16-18,6%. Tendenza non sorprendente, visto che si tratta di spese fondamentali e difficilmente comprimibili. E che alimentano piuttosto un diffuso fenomeno di rinuncia alle prestazioni. Secondo i risultati del rapporto, il settore più critico è quello dell’assistenza agli anziani e dei non autosufficienti: ben il 48% delle famiglie è stato infatti costretto a rinunciare a questo genere di prestazioni. Situazione complessa anche per quanto riguarda le spese sanitarie, con un tasso medio di rinuncia del 40,8% e punte del 61,5% per le fasce più deboli: pesano in particolare le rinunce rilevanti relative a visite mediche e cure odontoiatriche, ferme a quota 17%. Segue poi il settore dell’istruzione, con rinunce diffuse nel 36,7% delle famiglie e ripercussioni anche rilevanti sul percorso formativo dei figli.
La fragilità sociale è evidente. E, secondo le conclusioni del rapporto, potrà alimentare ulteriormente la crescita del settore perché, spiegano da Mbs Consulting, “risponde a una domanda generata dal cambiamento sociale e dalla maturità demografica del Paese”. Affinché però il sistema riesca a mantenere una certa vocazione universalistica e perequativa, è necessario che tutti facciano la propria parte. L’obiettivo, chiosa il rapporto, è quello di unire gli sforzi per sostenere una filiera del benessere sociale in cui tutti, dal pubblico al privato, possano contribuire a rispondere in maniera più efficiente ai bisogni di protezione delle famiglie italiane.