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Reddito di cittadinanza e quota 100: cosa sono e come funzionano

Definiti i dettagli dei principali cavalli di battaglia dell’ultima campagna elettorale: ecco i principali elementi delle misure approvate da Governo

Giovedì 17 gennaio il governo ha approvato il decreto legge che introduce reddito di cittadinanza e quota 100. Un testo atteso, visto che disciplina i principali cavalli di battaglia di Movimento 5 Stelle e Lega dell’ultima campagna elettorale. E che arriva con un certo ritardo rispetto a quanto preventivato: prima nella legge di Bilancio 2019, poi in un decreto ad hoc che doveva essere approvato entro Natale, una settimana fa un altro stop. Alla base del ritardo, come riportano svariate testate, ci sarebbero state soprattutto le difficoltà nel trovare le coperture finanziare necessarie e nel raggiungere un’intesa politica fra i principali partiti della maggioranza: tanto per citare un caso, il vicepremier e leader leghista Matteo Salvini aveva recentemente paventato uno stop all’iter del reddito di cittadinanza se non si non fossero trovati fondi per un nuovo sussidio da conferire alle circa 260mila famiglie con invalidi civili.
Il decreto passerà ora all’esame del Parlamento per l’approvazione definitiva. E non sono escluse correzioni, soprattutto se si considera l’intenzione del premier Giuseppe Conte di non ricorrere a un voto di fiducia. Nell’attesa che si compia l’iter legislativo, vediamo i punti principali delle due misure.

Reddito di Cittadinanza
Innanzitutto, quello che nel decreto viene presentato come un reddito di cittadinanza non è un reddito di cittadinanza: la letteratura accademica identifica infatti il reddito di cittadinanza come un trasferimento monetario dallo Stato agli individui sulla base della loro semplice cittadinanza o residenza, a prescindere dunque da eventuali attività lavorative, redditi o altre variabili. Come facilmente intuibile, la misura assume per lo più una connotazione teorica e, nei fatti, è stata adottata solamente in Alaska, stato americano ricco di petrolio che distribuisce circa mille dollari al mese (l’entità del contributo può variare) a chiunque sia residente da almeno un anno nello Stato.
Quello proposto dal Movimento 5 Stelle, messo nero su bianco nel decreto del 17 gennaio, non è dunque un reddito di cittadinanza. Si configura piuttosto come un sussidio di durata temporanea (ma rinnovabile) che verrà elargito a circa 1,4 milioni di famiglie che versano in condizioni di particolare difficoltà. L’accesso allo strumento è condizionato da una serie di requisiti: Isee inferiore a 9.360 euro; un patrimonio immobiliare che, esclusa la prima casa, non superi i 30mila euro; e un patrimonio mobiliare non superiore a 6mila, con soglie più alte per le famiglie più numerose.
L’elargizione del reddito di cittadinanza è subordinata alla firma di un “patto” da parte dei componenti maggiorenni del nucleo familiare. Sono previsti due patti: il “patto di lavoro”, pensato per i disoccupati e gli abili al lavoro; e il “patto di inclusione”, destinato a chi versa in condizioni di povertà e disagio. Con la sottoscrizione del “patto di lavoro”, ci si impegna a iscriversi a una nuova piattaforma online per la ricerca di lavoro e a consultarla almeno una volta al giorno, a svolgere corsi di formazione e ad accettare una delle prime tre offerte di impiego che gli verranno presentate entro un raggio di 250 chilometri dal luogo di residenza. Il “patto per l’inclusione”, invece, prevede che il sottoscrittore venga segnalato ai servizi sociali del comune di residenza e si impegni a svolgere lavori socialmente utili.
L’entità del sussidio varierà a seconda di alcune variabili come la composizione familiare e la presenza di spese per l’affitto. Tendenzialmente, il reddito di cittadinanza partirà da un minimo di 500 euro al mese per un adulto che vive in una casa di proprietà, fino a un massimo di 1.330 euro al mese per una famiglia di tre adulti e due bambini che vive in affitto. Secondo alcuni, tuttavia, le coperture rischiano di non essere sufficienti. Poco prima dell’emanazione del decreto, l’associazione Svimez aveva fatto infatti notare come lo stanziamento da 6,1 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza, inserito nell’ultima legge di Bilancio, non fosse sufficiente a garantire un contributo di almeno 500 euro al mese a tutte le famiglie che rientrano nei requisiti previsti: calcolatrice alla mano, considerando che in Italia si contano 1,7 milioni di famiglie in condizioni di disagio, il contributo medio a famiglia si fermerebbe a circa 390 euro al mese. Numeri noti al Governo, che ha superato la criticità con l'escamotage di far partire la misura dal secondo trimestre dell'anno, riducendo così i mesi di erogazione per il 2019 e limitando l'esborso per le casse dello Stato.
Il sussidio verrà erogato per 18 mesi, rinnovabili dopo una pausa di un mese. A febbraio è previsto il lancio di un portale web dedicato alla misura: le richieste potranno essere presentate da marzo, mentre l’erogazione partirà da fine aprile.

Quota 100
Senza dubbio più semplice il funzionamento della quota 100. La misura riguarda il sistema previdenziale e modifica profondamente la vigente legge Fornero: sostanzialmente, consente di andare in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi. Si tratta di una misura sperimentale in vigore nel triennio che va dal 2019 al 2021.
Il sistema si basa sulle cosiddette “finestre”, intervalli tra il momento in cui si matura il diritto e si riscuote concretamente l’assegno. Per i privati è prevista una finestra di tre mesi: ciò significa che, una volta che si sarà maturato il requisito previsto, bisogna aspettare tre mesi per andare in pensione. Per il dipendenti pubblici la finestra sarà invece allungata a sei mesi.
Il sistema consentirà di andare in pensione fino a cinque anni prima di quanto previsto dalla legge Fornero. Ciò tuttavia avrà effetti anche sull’assegno previdenziale, visto che l’uscita anticipata dal mondo del lavoro comporterà un minor versamento di contributi: secondo alcune stime, la pensione potrebbe ridursi fino a un quarto di quello che si sarebbe ricevuto con la legge Fornero.