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Ocse, più pensionati che lavoratori nel 2050

È questo lo scenario che l’organizzazione internazionale delinea per l’Italia (e altri Paesi) nel rapporto “Working better with age”. La soluzione, a detta dei ricercatori, passa da maggiori incentivi per trattenere gli over 50 all’interno del mercato del lavoro

L’invecchiamento generalizzato della popolazione rischia di avere pesanti ripercussioni sull’assetto previdenziale italiano. L’ennesima conferma arriva dal rapporto Working better with age, pubblicato recentemente dall’Ocse: nel 2050, secondo le proiezioni della ricerca, in Italia potranno esserci più pensionati che lavoratori. Come noi soltanto Grecia e Polonia, in un contesto di comunque sfavorevole andamento demografico che dovrebbe riguardare l’intera area Ocse. Più in generale, si stima infatti che gli over 50 inattivi o pensionati potranno registrare nei prossimi trent’anni una crescita di circa il 40% nell’area di riferimento. Poste queste basi, nel 2050 si conteranno 58 over 50 inattivi o pensionati ogni 100 lavoratori: nel 2018 la quota era ferma a un ben più ridotto 42.
“Il fatto che le persone vivano più a lungo e in buona salute è senza dubbio da celebrare” ha osservato Stefano Scarpetta, director of employment, labour and social affairs dell’Ocse. “Tuttavia – ha aggiunto – il rapido invecchiamento della popolazione richiederà azioni politiche concertate per promuovere un invecchiamento attivo che possa disinnescare le conseguenze, potenzialmente molto gravi, per lo stile di vita delle persone e le finanze pubbliche”. La soluzione, a detta dell’organizzazione internazionale, passa quindi da un maggior coinvolgimento degli over 50 nel mercato del lavoro: così facendo, e favorendo allo stesso tempo la partecipazione lavorativa delle donne, si potrebbe ridurre la paventata crescita degli over 50 inattivi o pensionati del 9%.
Secondo i numeri dell’Ocse, gli sforzi per allungare l’età lavorativa fino almeno fino a 65 anni (se non oltre) si sono rivelati vani: a conti fatti, in quasi tutti i paesi di riferimento l’età media effettiva di pensionamento è addirittura più bassa rispetto a trent’anni fa. Il tutto, come visto, in un contesto di generale invecchiamento della popolazione che, consentendo alle persone di vivere mediamente più a lungo in pensione, sta mettendo sotto pressione la sostenibilità dei sistemi previdenziali.
Alla base dell’attuale situazione c’è soprattutto la mancanza di incentivi a proseguire l’attività lavorativa anche in età avanzata, unita alla riluttanza dei datori di lavoro ad assumere personale anziano e all’assenza di investimenti in occupabilità per l’intera vita del lavoratore.
Servono dunque nuove misure per garantire che il lavoro in età avanzata sia incoraggiato e non penalizzato: una revisione delle retribuzioni e dell’orario lavorativo potrebbe, secondo l’Ocse, incentivare sempre più persone a restare al lavoro più a lungo. Fondamentali, infine, gli investimenti in formazione per consentire ai più anziani di restare attivi e produttivi anche nell’epoca della digitalizzazione. "Un fattore chiave, che impedisce ai lavoratori anziani di chiudere il gap di competenze con i colleghi più giovani, è il fatto che i datori di lavoro non vedono solitamente alcun beneficio nell’investire nella formazione di un lavoratore anziano”, ha affermato Scarpetta. “Dare ai lavoratori buone opportunità di migliorare le loro competenze e acquisirne di nuove lungo la loro carriera – ha concluso – è un requisito fondamentale per favorire carriere lavorative più lunghe in occupazioni di buon qualità”.