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Intelligenza artificiale e cambiamento del lavoro

Sull’entusiasmo dell’innovazione, le conseguenze sociali dell’introduzione di attività fortemente automatizzate non sono ad oggi prevedibili, e neppure vengono valutate. Si può immaginare che resisteranno le professioni che richiedono empatia, creatività, capacità di ragionamento su base culturale

È con il lavoro che abbiamo cambiato completamente questo pianeta, ma ora è il lavoro che sta per cambiare. Forse, come nemmeno lo abbiamo mai immaginato. In effetti, siamo a una transizione epocale. Grazie alle tecniche che abbiamo inventato in migliaia di anni la quantità della nostra vita è più che raddoppiata dai circa 35 anni che era prima della prima rivoluzione dell’agricoltura - se proprio andava bene -; e sulla sua qualità non mi metterei neanche a discutere. Certo, sia detto con un po’ d’ironia, tutto è iniziato quando Madre Natura è diventata il nostro universo, un oggetto da conoscere e trasformare a immagine e somiglianza delle nostre capacità, ovvero proprio da quando abbiamo smesso di respirare aria senza polveri sottili, bere acqua pura, mangiare strettamente biologico e a chilometro zero. Oggi, come sappiamo, non possiamo più cadere in miti ingenuamente naturalistici o tecno-ottimistici, entrambi insostenibili. Dunque bisogna tornare a occuparsi e preoccuparsi per gli sviluppi tecnologici.

Progresso penalizzante e inarrestabile
Il progresso è stato possibile grazie al lavoro della nostra intelligenza. I più grandi passi li abbiamo compiuti quando abbiamo immaginato l’inimmaginabile e lo abbiamo messo nella forma di macchine mosse da energia non più di origine umana o animale, ma termica, dapprima, ed elettrica, poi. Eppure, mentre questa conoscenza si oggettivava nelle macchine e solo i pochi manager e tecnici mettevano in opera tutta la propria intelligenza, la gran massa dei lavoratori eseguiva operazioni che erano sempre più stupide e ripetitive, economicamente vantaggiose e moderne. Questa realtà, intravista già nel Settecento da Adam Ferguson, è stata immortalata da Charlie Chaplin oltre un secolo e mezzo dopo, con lo scenario distopico della fordizzazione del lavoro in Tempi moderni. Insomma, non è che l’innegabile progresso della storia umana sia stato tutto rose e fiori, almeno non per la grande maggioranza. E nemmeno per l’ambiente, se a questo punto è in questione la stessa sopravvivenza della nostra specie.
Quello che è successo dalla metà del XX secolo, poi, è stato caratterizzato dalla crescita esponenziale della conoscenza prodotta e messa in circolazione nella società, a uso e disposizione di una quantità di individui sempre crescente. Questo che chiamiamo post-fordismo ha generato, sì, nuovi lavori ad alta intensità di conoscenza, ma ha esordito attaccando le posizioni lavorative impiegatizie intermedie (office automation) che solo limitatamente e con grande difficoltà hanno potuto assecondare la tendenza di fondo. Anche in questo caso, lo sviluppo tecnologico non è stato affatto eguale per tutti i cittadini, in tutti i paesi, in tutti i continenti; cionondimeno, il progresso complessivo è stato esplosivo ed è durato per vari decenni.

Rimarranno destrezza ed empatia
E oggi? Ogni tanto, da qualche parte, si sente dire che ci sarebbe sin troppa intelligenza in giro: non sono forse troppi i laureati (provare solo a confrontare con gli altri paesi per cambiare idea) e ci vorrebbero invece braccia per lavori che nessun (occidentale) vuol più fare (altrove, però, sono automatizzati)? E invece, da altre parti, si sente dire che di intelligenza ne abbiamo troppo poca: non potendo aspettare (o non volendo investire) quanto necessario per “fare intelligenti” la massa dei lavoratori, sorge la spinta a “fare intelligenti” le macchine (Artificial Intelligence) affinché producano nuova conoscenza in tutte le sue forme, da quella più intellettuale (a partire dai big data) a quella oggettivata in altre macchine (web of things) e ambienti artificiali (artificial ed enhanced reality, 5G).
Ebbene, si calcola che il 47% dei posti di lavoro negli Usa sia a rischio automazione: si salveranno i lavori ad alta intelligenza. Forse quelli caratterizzati da maggiore destrezza (giardiniere, parrucchiere, disossatore di carni…), ma non consiglierei di scommetterci. Oppure, quelli caratterizzati da maggiore empatia (negoziazione, persuasione, cura: insegnante, infermiere…), ma in Giappone ci sono già robot che accudiscono gli anziani. Ma, soprattutto, si salveranno i lavori a maggiore creatività (manager, ricercatore, artista, chef…). Inoltre, se gli attuali lavori a maggior crescita della domanda solo dieci anni fa non esistevano nemmeno, due terzi dei bambini che iniziano oggi la scuola faranno lavori che ancora non esistono.
Lo stesso World Economic Forum (2016) segnalava che saranno decisive l’intelligenza, il pensiero critico, l’originalità e l’immaginazione. Mentre c’è da chiedersi se le trasformazioni dei sistemi scolastici e universitari degli ultimi decenni siano andate davvero in questa direzione, chi ha figli (e può permetterselo) li faccia studiare bene, tanto, a lungo e lasciandoli seguire (fin dove possibile) la loro autonoma curiosità, senza cedere alle mode passeggere e ai nuovismi improvvisati.