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Mercati incerti sulle tensioni geopolitiche

Nel medio termine le piazze finanziarie potrebbero vivere momenti difficili: il rischio recessione negli Stati Uniti e i timori legati al prezzo del petrolio potrebbero convincere le banche centrali a rallentare il ritmo di rialzo dei tassi nel 2019

Gli operatori dei mercati finanziari sono sull’attenti e stanno valutando il grado d’incertezza riguardo alle prospettive di medio termine. Questo atteggiamento è figlio di un mese di novembre caratterizzato dalla volatilità anche di brevissimo termine: in altre parole, i mercati hanno cominciato a muoversi in modo più brusco e sono diventati altamente sensibili alle notizie, positive e negative. Se la Federal Reserve lancia segnali distensivi o gli Stati Uniti e la Cina lavorano a una tregua commerciale, i mercati festeggiano con crescite repentine. Ma quando arriva la notizia dell’arresto della cfo di Huawei, i listini correggono subito la traiettoria e crollano pesantemente.

RECESSIONE IN VISTA?

Secondo l’Osservatorio sui mercati globali, a cura di Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm, gestore internazionale specializzato negli investimenti a medio-lungo termine, quest’andamento dei mercati significa che nell’ultimo mese si è insinuata una nuovo timore sulle prospettive di medio termine. Un rallentamento dovuto anche alla crescente incertezza che caratterizza la politica internazionale. Come sempre occorre guardare prima agli Stati Uniti per capire cosa può succedere poi nel resto del mondo e in Europa. 

L’analisi di Moneyfarm parte dall’osservazione della curva dei tassi dei titoli di Stato americani, dove il valore delle scadenze di medio periodo è sceso sotto quello delle scadenze di breve periodo: “questa dinamica – si sottolinea – in genere è interpretata come conseguenza di un peggioramento delle prospettive economiche di medio termine”, perché potrebbe essere l’inizio di un’inversione. In generale, quando il tasso dei titoli a 10 anni diventa minore del tasso dei titoli a due anni ci si deve attendere una recessione. In questo momento l’economia americana è ancora in ottima salute ma mostra i primi segnali di frenata.

IL FRAGILE ACCORDO SUL PETROLIO

Questo quadro economico ha influenzato le aspettative sul percorso di rialzo dei tassi della banca centrale americana: i mercati ora si aspettano meno rialzi da parte della Fed, cosa che riporterebbe sui listini un clima più disteso. In questo scenario, s’inserisce la geopolitica. Il prezzo del petrolio è recentemente calato sotto la soglia dei 60 dollari al barile; questo ha portato a un fragile accordo nell’Opec (e tra le potenze internazionali, compresa la Russia) su un sostegno del prezzo per evitare una discesa ancora più marcata. 

Ma quanto può durare un accordo di questo tipo, in un clima in cui le divisioni sono all’ordine del giorno? Moneyfarm fa notare che non è ancora chiaro quali siano le quote precise che i singoli produttori taglieranno rispetto ai livelli attuali, per centrare l’obiettivo di una riduzione complessiva della produzione pari a 1,2 milioni di barili al giorno. In passato, l’incertezza ha avuto l’effetto di orientare i mercati in direzione opposta rispetto a quella desiderata dall’organizzazione. Il prezzo del petrolio basso per un periodo prolungato si aggiungerebbe quindi agli altri fattori di debolezza, portando le banche centrali a essere più caute sul percorso di rialzo dei tassi nel 2019, favorendo così un clima economico più tranquillo.