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Welfare aziendale, conta la reputazione

Da una ricerca di Eudaimon e Censis emerge una conoscenza ancora scarsa dei benefit a disposizione dei lavoratori. Ci vorrebbe una comunicazione personalizzata che stia attenta, però, a rispettare la privacy del singolo individuo

Il welfare aziendale resta un ambito ancora tutto da sviluppare e tuttavia molto promettente. Come farlo è la domanda che si pongono gli stakeholder. Ma c'è anche un altro tema legato alle possibilità di sviluppo attraverso le piattaforme web, e cioè quello della tutela della privacy? Eudaimon, tra le società più importanti nel settore dei benefit aziendali e Censis hanno effettuato uno studio, presentato nei giorni scorsi a Milano, in cui hanno illustrato lo stato dell’arte del rapporto tra welfare aziendale e comunicazione. Obiettivo della ricerca è anche capire il grado di conoscenza del welfare tra i lavoratori e gli effetti di una buona comunicazione per un welfare aziendale più efficace con un maggior coinvolgimento dei lavoratori. L’analisi giunge, tra l’altro, a due anni di distanza dalle riforme del precedente governo che hanno dato un’accelerazione positiva alla diffusione nei contratti di lavoro di forme vecchie e nuove di welfare integrativo.

"Il settore – si legge nella ricerca – ha vissuto gli ultimi due anni di crescita rapida, con l’ingresso di una molteplicità di soggetti e un annesso pericoloso downsizing delle prestazioni; la delicatezza della gestione dei dati e della tutela della privacy può anche diventare l’occasione per far giocare di più la social reputation e la reale competenza dei provider, scongiurando il rischio di downsizing di prestazioni e soggetti che finirebbe per allontanare il settore stesso dall’importante ruolo che sta conquistando nelle relazioni aziendali e nel sistema di welfare".

COMUNICARE POCO, COMUNICARE MALE 

Le due società autrici della ricerca si sono trovate di fronte a due temi: il primo di consapevolezza e conoscenza degli strumenti di welfare da parte del lavoratore e il secondo di privacy, cioè quanto un individuo sia disposto condividere di se stesso per agevolare una profilazione più accurata delle proprie esigenze. 

Il dato sulla conoscenza è abbastanza sorprendente: ben il 72% dei lavoratori intervistati non conosce, o conosce appena, il welfare aziendale e il 48,5% ha bisogno di un aiuto per scovare le informazioni adeguate quando vuole accedere ai servizi: ci sono gravi difficoltà nel capire a chi rivolgersi per problemi di sanità, previdenza e assistenza. 

La soluzione proposta dal sondaggio è l’avvio nelle aziende di una comunicazione personalizzata sul modello dei siti internet, come Booking, Amazon o altre piattaforme, utilizzando quindi i dati personali per proporre servizi di welfare personalizzati in base ai bisogni specifici. A tale opportunità, da un lato i lavoratori rispondono di sì ma dall’altro c’è ancora molto timore nel condividere le informazioni personali; questo perché il 60,4% dei lavoratori italiani è preoccupato per l’uso che i social network possono fare dei dati personali degli utenti. Per il 41,5%, la protezione della privacy è la questione principale dell’era digitale, ancora di più della manipolazione delle informazioni con le fake news (41,2%) o dell’eventuale perdita di posti di lavoro legata alla diffusione delle nuove tecnologie (10,2%).

PRIVACY E MILLENNIAL 

Insomma, sono in primis i lavoratori a chiedere garanzie. Il 79,2% vorrebbe che le Autorità introducessero una regolamentazione più efficace per evitare intrusioni nella vita privata, nonostante più del 60% riconosca che i gestori delle piattaforme online stanno adottando corrette misure di sicurezza per tutelare la privacy degli utenti. C’è però un 35,2% di lavoratori che ritiene utile l’uso dei dati degli utenti in cambio di servizi personalizzati: una percentuale, tra l’altro, che tra i millennial supera il 41%. 

Sembra tuttavia sia arrivato il tempo di regole certe, trasparenti e concretamente applicabili: la privacy, si evince, vale più di qualsiasi vantaggio in termini di servizi personalizzati. Tornando al capitolo millennial, anche tra di loro la tutela della privacy si conferma un valore: il 52,9% dei lavoratori di questa categoria si dice preoccupato per l’uso dei dati personali da parte dei social network, anche se al vertice delle loro preoccupazioni c’è la manipolazione delle informazioni. Più di tre quarti, poi, reputa ingiusto lo sfruttamento non autorizzato dei propri dati anche in cambio di servizi totalmente gratuiti.

PUNTARE SULL'AFFIDABILITÀ 

A proposito di prezzo, per la stragrande maggioranza dei lavoratori intervistati (74%) questo non è decisivo: per ogni prodotto o servizio di welfare aziendale fornito è la reputazione di chi lo produce e gestisce a contare davvero. È sull’affidabilità che chi vende prodotti o servizi deve puntare maggiormente, non sul prezzo. Al momento, il mercato del welfare aziendale è in rapido sviluppo e occorre prima di tutto costruirsi una reputazione puntando sulla qualità, più che fare competizione sul prezzo. È decisiva, quindi, quella che si chiama social reputation: un misto di professionalità e sicurezza che il provider di servizi che collabora con l’azienda deve necessariamente avere. 

L’attivazione nelle aziende di comunicazioni e servizi personalizzati basati sulla gestione dei dati personali dei lavoratori richiederà, quindi, regole precise e un’alta professionalità da parte dei gestori delle informazioni.