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Difficoltà di accesso al welfare. Una nuova sfida per le aziende

Erosione del welfare pubblico e nuovi bisogni accentuano la pressione e rendono l’accesso ai servizi più complesso: i cittadini si scontrano con l’impatto delle maggiori difficoltà di accesso ai servizi di cui hanno bisogno. Ecco come le aziende possono accorrere in aiuto

Opaco e a tratti impenetrabile: così appare il welfare italiano alla maggior parte di quelli che si trovano nella necessità di dover accedere ai servizi e non riescono a intercettare le prestazioni più adatte. Una complessità che tende a penalizzare i più vulnerabili e, paradossalmente, proprio coloro che ne avrebbero più bisogno. È quanto emerge dall’indagine commissionata da Eudaimon a Censis sui servizi di welfare.
Il 52,7% degli occupati italiani lamentano di avere avuto un problema di welfare per sé o un proprio familiare e di non aver saputo a chi rivolgersi. Esperienza vissuta di più dalle donne (55%), dai residenti del Sud-Isole (59%) e, a sorpresa, dai laureati (59,1%). Dato, quest’ultimo, che va letto con cautela perché spesso i laureati sono chiamati a dare supporto a familiari anziani e a risolvere problematiche complesse, come ad esempio nell’ambito previdenziale o in quello dei servizi per i non autosufficienti.

Italiani in cerca di aiuto
Il primo punto evidenziato dallo studio è che oggi in Italia esiste un problema di accesso legato alla complessità del sistema. Molti lavoratori segnalano che hanno avuto situazioni in cui al proprio bisogno sociale non sono riusciti a identificare il servizio o il soggetto che potesse aiutarli.
Di fronte alle difficoltà in tanti vanno a caccia di soluzioni e di aiuto: in prima battuta la fonte di aiuto a cui ci si rivolge sono i propri familiari. Infatti, il 44,9% degli occupati dichiara di essersi rivolto a familiari, amici che già avevano affrontato il problema per farsi aiutare.
L’esperienza di chi ha già dovuto affrontare le difficoltà si condivide con chi deve affrontarle. Si tratta di una soluzione razionale, dentro i meccanismi di vera e propria autotutela sociale, che sempre più spesso beneficiano anche dei nuovi strumenti di trasmissione delle informazioni, dal web ai social network.
Il 51,5% dichiara di esser convinto di poter affrontare i problemi da solo, di avere comunque le conoscenze per saltare le barriere di accesso e arrivare agli interlocutori giusti per avere i servizi e le tutele di cui ha bisogno.
 Il 48,5% invece si dichiara esplicitamente non in grado di affrontare da solo le difficoltà di accesso al welfare, ed è un dato di grande impatto perché indica sia la percezione di complessità del sistema agli occhi dei lavoratori sia la percezione di fragilità di fronte alle barriere di accesso.
Il bisogno di supporto decolla letteralmente per i genitori di bambini fino a 3 anni, i più in difficoltà di fronte al welfare e nella ricerca delle soluzioni per i propri bisogni. Ma le quote sono comunque alte per le famiglie con figli minori e per quelle con non autosufficienti.
 L’importanza delle reti relazionali
Al di là delle modalità di ricerca, fisiche e dirette o tramite web e social, di fronte alle difficoltà le persone fanno ricorso a quello che possiamo definire “sportello sociale diffuso” dove chi ha avuto esperienza e sa come muoversi nei meandri dei servizi e della burocrazia diventa il tutor di chi non sa cosa fare.
L’indagine rivela che chi ha maggiori risorse culturali è anche più capace di cercare e trovare aiuto, ed ha maggiori probabilità di avere nella propria rete relazionale e di conoscenze persone in grado di fornire soluzioni.
E’ interessante notare come la trasmissione delle soluzioni vede i giovani come destinatari di informazioni molto più degli adulti. In base al titolo di studio, poi, sono di più i laureati che vanno a caccia di supporto da chi ha avuto esperienze di difficoltà di accesso.
Per le persone che hanno figli fino a tre anni e, in generale per le famiglie con minori è più alta la quota che ricorre all’aiuto di familiari o amici che hanno già fatto l’esperienza e hanno la soluzione giusta per gestire le problematiche legate alla gestione e ai bisogni dei più piccoli.
Di contro, è meno possibile ricorrere all’aiuto di familiari o amici per risolvere problemi legati alla non autosufficienza. Anche se il fenomeno tocca circa 3,1 milioni di italiani, è davvero difficile trovare nella propria cerchia familiari che siano già passati dalle problematiche legate all’accesso alla sanità, alla previdenza, alle tutele, o abbiano usufruito di prestazioni legate all’invalidità e inabilità.
Il ricorso ad una società di servizi a pagamento diventa la soluzione più diffusa tra i laureati e i lavoratori benestanti, rispetto a quelli di ceto popolare o ceto medio.

La sfida per le aziende
Il rapporto di Censis e Eudaimon ha evidenziato come negli ultimi anni siano state proprio le aziende a fornire ai propri dipendenti un sostegno importante sul fronte dell'accesso e dell'orientamento ai servizi di welfare e che esistono ancora molti spazi di intervento per fornire servizi adatti ai bisogni dei propri dipendenti. Grazie alle società che forniscono servizi di welfare aziendale, start-up digitali, realtà del Terzo Settore, oggi esistono servizi di welfare aziendale finalizzati a sostenere i lavoratori anche nell’accesso alle prestazioni.
Sono stati implementati progetti di welfare che consentono di interagire con figure professionali specializzate che aiutano il lavoratore a districarsi nei meandri burocratici del welfare pubblico, fornendo consulenze personalizzate finalizzata ad orientare il caregiver nella scelta delle prestazioni e servizi su misura.
Altri interventi aziendali sfruttano invece le nuove tecnologie, mettendo ad esempio a disposizione applicazioni e device di digital health, ossia strumenti digitali finalizzati a promuovere e sostenere il benessere e la salute, come anche monitorare da remoto lo stato di salute dei propri cari.