la-pensione-ai-tempi-di-gig-economy-e-immigrazione

La pensione ai tempi di gig economy e immigrazione

La relazione annuale dell’Inps accende un faro su economia dei lavoretti e flussi migratori, temi non secondari che incideranno sulla sostenibilità (o meno) dell’assetto previdenziale nel lungo termine

Oltre 15 milioni di pensioni elargite nel 2017. Assegni per un importo medio lordo mensile di 1.513 euro. Un esborso complessivo pari al 15,2% del Pil e al 32,5% della spesa pubblica. Sono i numeri principali dell’ultima relazione annuale dell’Inps, tradizionale appuntamento dell’istituto previdenziale per gettare uno sguardo sull’assetto pensionistico italiano e comprendere meglio, numeri alla mano, lo stato di salute del nostro welfare state.
Un appuntamento atteso, soprattutto perché arrivato all’indomani di una campagna elettorale giocata soprattutto sul tema previdenziale. E perché, com’è noto, le dinamiche demografiche e occupazionali gettano ombre sinistre sulla sostenibilità a lungo termine del nostro sistema. Le pensioni elargite a ultra 70enni, tanto per citare un caso, nel 2016 hanno assorbito il 56% della spesa pensionistica complessiva: nel 1995 il dato era fermo al 40%. Anche sul fronte contributivo le incognite non mancano, con l’Inps che ha focalizzato la sua attenzione sulla precarietà: per quanto infatti il tasso di occupazione continui a crescere, a pesare sull’incremento sono soprattutto i contratti a termine, passati nel 2017, anche sulla scia dell’abolizione dei voucher, dai precedenti 3,7 milioni a 4,6 milioni.

La riforma impossibile
È in questo contesto che si innestano le ventilate ipotesi di riforma alla legge Fornero. Un tema dibattuto lungo tutta la campagna elettorale e divenuto ora, con la proposta della quota 100, oggetto di confronto nella formazione del governo Conte. “La quota 100 pura costa fino a 20 miliardi all’anno, la quota 100 con un’età minima di 64 anni costa 18 miliardi che si riducono a 16 miliardi se si alza il requisito anagrafico a 65 anni”, ha affermato Tito Boeri, presidente dell’Inps. Numeri che si scontrano con vincoli di bilancio e con un debito pubblico che continua a galoppare. Quella delle pensioni si presenta sempre più come una riforma impossibile.
“Non c’è modo di intimidire i dati, parlano dal soli”, ha commentato Boeri a margine della presentazione della relazione, nel tentativo di smorzare la polemica politica che si è innescata subito dopo la pubblicazione del rapporto.

Il nodo dell’immigrazione
Eppure qualcosa bisognerà pur fare. Anche perché, Fornero o non Fornero, il sistema previdenziale appare estremamente fragile. Lo capisce dall’accento che la relazione ha voluto al contributo che gli immigrati possono dare (e già stanno dando) alla sostenibilità dell’assetto previdenziale nel lungo periodo. “Le previsioni sulla spesa – si legge nella relazione – indicano che anche innalzando l'età del ritiro, ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne che oggi tendono ad avere tassi di partecipazione al mercato del lavoro più bassi, incrementi plausibili e non scontati della produttività, per mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese”.
Anche eventuali incentivi alla natalità o al lavoro femminile, chiosa la relazione, “non potranno da sole arginare la riduzione delle classi di popolazione in età lavorativa prevista per il prossimo ventennio”. Secondo Boeri, “il nostro Paese ha bisogno di aumentare l'immigrazione regolare”.

Nell’economia dei lavoretti
Se il contributo dell’immigrazione diventa cruciale, è anche perché, secondo Boeri, “sono tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere”. E magari preferiscono ingrossare le fila della gig economy, la cosiddetta economia del lavoretti resa possibile dalle nuove frontiere aperte dal web. Un settore poco regolamentato ma senza dubbio in crescita, che pone nuove incognite sulla sostenibilità dell’assetto previdenziale.
Un lavoratore del settore, si legge nella relazione, percepisce un salario medio di 346 euro al mese. Ed è costretto a confrontarsi con una pressoché totale mancanza di tutele. In questo contesto, non stupisce che gli addetti alla gig economy sentano il bisogno di maggiori garanzie in ambito pensionistico (24%), contro i periodi di disoccupazione (20%) ed eventuali malattie (19%). Trovare una risposta a questi bisogni non è scontato. E diventa sempre più urgente al crescere di questa nuova fascia lavoratrice: sono 175mila le persone che svolgono attività nella gig economy come unica attività lavorativa, ben 753mila quelli che la svolgono come secondo lavoro. Il 50% degli addetti vorrebbe una posizione lavorativa più stabile e una maggiore co-responsabilità aziendale.