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Startup, l’Italia ha paura di volare

Le imprese innovative crescono ma non abbastanza per poter competere sul mercato mondiale. Mancano investimenti che possano trainare il settore. Così le idee migliori sono costrette a cercare capitali all’estero, soprattutto negli Stati Uniti

La cultura economica delle piccole e medie imprese non favorisce lo sviluppo delle startup. Per questo l’Italia fatica a occupare una posizione di leader in Europa. Secondo il report Scaleup Italy 2017 di Mind The Bridge, l’Italia è l’undicesima nazione in Europa sia per numero di startup che sono riuscite a diventare aziende solide e sia per capitali raccolti da queste aziende per poter crescere e diventare scaleup. Una evoluzione che avviene quando le giovani imprese innovative sono riuscite a raccogliere da uno a 100 milioni di dollari di investimento e, allo stesso tempo, a realizzare un fatturato collocato nella medesima forchetta. Nel caso italiano, tuttavia, nel 2016 l’86% delle startup che prova a crescere lo fa con una logica da impresa medio-piccola, raccogliendo tra uno e i 10 milioni di dollari; 16 startup hanno ricevuto finanziamenti tra i 10 e i 50 milioni di dollari, e solo due più di 50. 

In Italia il 3,2% delle scaleup europee
Il report confronta i dati italiani con il resto d’Europa. Nel 2016, il contributo dell’Italia è di 135 scaleup su un totale di 4.200 in Europa (il 3,2% del totale), mentre 1.412 sono le britanniche, 442 le tedesche, 513 le francesi, 207 le spagnole. Negli ultimi sette anni le nostre hanno raccolto 950 milioni di dollari, le britanniche hanno raccolto 20,2 miliardi, le tedesche 10,1 miliardi, le francesi 6,6 miliardi, le spagnole 2,8 miliardi. L’Italia è superata da Svezia, Paesi Bassi, la Danimarca, Irlanda, Finlandia o Svizzera, paesi che pur avendo una popolazione e un Pil inferiori a quello italiano, investono cifre stabilmente sopra il miliardo di dollari. Così l’Italia scivola a metà classifica, in un limbo da cui difficilmente potrà uscire nei prossimi anni, perché la velocità di sviluppo delle imprese innovative italiane è inferiore a quello dei paesi vicini. Le ottomila startup italiane non crescono abbastanza. Impietoso il confronto dei capitali investiti nelle nuove idee di impresa in Italia rispetto a Francia, Regno Unito e Germania: 110 milioni di investimenti nel 2017, contro 3,7 miliardi della Gran Bretagna, 2,7 miliardi della Francia e 1,1 miliardi della Germania. All’e-commerce appartiene quasi una scaleup su cinque italiana (il 19%, con 150 milioni di dollari raccolti). Il 10% è una impresa fintech (80 milioni di dollari raccolti), l’8% si colloca nell’advertising (85 milioni di dollari raccolti). Il settore più ricco è tuttavia il fashiontech, a cui appartiene il 7% del totale delle scaleup italiane, con 240 milioni di dollari raccolti. Buona la performance delle scaleup big data e software: sono rispettivamente il 3% e 5% del totale, ma hanno raccolto quasi quanto le fintech (78 e 75 milioni di dollari).


Segnali positivi nel 2017, ma grazie ai capitali stranieri 
I segnali positivi ci sono. Secondo il report, negli ultimi dodici mesi, il mondo delle startup registra un aumento del 22% dei volumi e del 26% del capitale raccolto. Purtroppo, sottolinea il report, il settore è trainato soprattutto dalle aziende che vanno all’estero per cercare investitori. Le migliori idee imprenditoriali hanno quindi bisogno di capitali stranieri, dimostrando la fragilità del nostro sistema. L’80% delle startup va negli Usa, il restante 20% nel Regno Unito. Il presidente di Mind The Bridge Alberto Onetti cita come esempio il caso di Augusto Marietti, un imprenditore ventenne che ha lasciato l’Italia per la Silicon Valley riuscendo a raccogliere 18 milioni di dollari da Andreessen Horowitz, uno dei principali investitori di Facebook, Linkedin e Twitter. Il ritardo dell’Italia sull’Europa viene anche nel mercato delle exit, ossia le aziende che sono state vendute per ricompensare gli investimenti fatti da venture e business angels. Su 36 operazioni di acquisizione fatte nel 2016, meno della metà di queste startup (45%) sono state comprate da altre aziende italiane. Le principali exit del 2016 sono state PizzaBo, YogiTech, Fabtotum, Solair, Plat.one, 20Lines.