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Il buio, tre anni dopo la luce

Un libro di Giovanna Pancheri racconta la Parigi scossa dal terrorismo nel 2015: nel racconto della giornalista di Sky Tg24, il ricordo degli assalti e il dramma di chi in quei giorni ha perso tutto

Gli occhi del mondo, esattamente tre anni fa, erano puntati su Parigi. Era l’11 gennaio 2015, pochi giorni dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher di Porte de Vincennes. E la popolazione ferita volle rispondere alla violenza dei fratelli Kouachi e di Amedy Coulibaly con una lunga marcia che si snodò da Place de la République a Place de la Nation. Venne subito ribattezzata la marcia repubblicana: un corteo di due milioni di persone, compresi 40 capi di Stato e di governo internazionali, marciava fra le strade di una Parigi scossa ma non attonita, che rialzava subito la testa davanti alla furia terroristica targata Ansar al-Sharia. Secondo l’Associated Press, che citava fonti ufficiali, la manifestazione di Parigi era stata la più grande mai tenuta in tutta la storia repubblicana della Francia.
Si stima che nel week-end di manifestazioni (l’11 gennaio 2015 cadeva di domenica) oltre 3,5 milioni di persone siano scese in strada in tutta la Francia per esprimere solidarietà alle vittime e ribadire il proprio sostegno ai valori della repubblica. Molte altre ancora, in tutto il mondo, seguirono la cronaca di quei giorni attraverso le parole dei giornalisti. Giornalisti come Giovanna Pancheri, corrispondente di Sky Tg24 che seguì l’intero svolgersi della Storia (quella con la “s” maiuscola) sulle strade della capitale francese. E che ha voluto ricordare quei giorni (e quelli, altrettanto tragici, degli attentati del 13 novembre) nel volume Il buio su Parigi – Oltre la cronaca nei giorni del terrore, pubblicato da Rubbettino e presentato lo scorso 21 dicembre nel corso di un evento promosso all’Ispi.
Il volume non si presta a una facile classificazione: non è un reportage, né tantomeno un’inchiesta o un saggio. Assume a tratti i contorni di un racconto autobiografico – perché tanto spazio è dedicato al ricordo personale di quei drammatici eventi – ma si spinge oltre: oltre la cronaca, come suggerisce il sottotitolo del libro. E lo fa con interviste mirate a sopravvissuti e familiari delle vittime, che diventano una sorta di riflessione collettiva su ciò che hanno significato per la Francia (e per il mondo) gli attentati che hanno insanguinato Parigi nel 2015.




Il racconto inizia ancor prima che i fatti si verifichino, con il resoconto di un’intervista del settembre 2012 a Stephane “Charb” Charbonnier, all’epoca direttore di Charlie Hebdo. Al centro del colloquio, ricorda l’autrice, c’erano le polemiche scaturite da una copertina del settimanale satirico che ritraeva un ebreo che spingeva la carrozzina su cui stava seduto un musulmano. “Non prendeteci in giro”, dicevano in due in risposta alle proteste scatenate dal controverso film The Innocence of Muslims. Al settimanale (e al suo direttore) era giunte lettere di proteste e, persino, pesanti minacce. Parole a cui Charb aveva risposto con una naturalezza che appare oggi disarmante: “Non ho paura, cedere alla paura vuol dire rinunciare alla liberà, quindi cominciare a dire che abbiamo paura vuol dire far loro piacere. E non farò loro piacere dicendo di aver paura”, aveva risposto a una precisa domanda della giornalista. Charb sarà una delle vittime dell’attacco a Charlie Hebdo.
Il volume prosegue con il resoconto dell’attentato, rimbalzando fra il racconto autobiografico di quei giorni e le interviste che l’autrice ha raccolto fra i sopravvissuti della strage. Riss, Luz, Coco sono nomi che tornano nella mente di chi ha seguito quei tragici fatti sui mezzi di comunicazione. E che ritrovano adesso un megafono per condividere i propri ricordi e le proprie paure. C’è persino un’intervista a Jean-Luc Slakmon, anonimo addetto all’Hyper Cacher che il 9 gennaio si ritrovò faccia a faccia con la follia del terrorismo. “Alle 8:30 ero al lavoro, quel giorno mi occupavo del reparto macelleria, tutto filava tranquillamente fino a quando verso le 12:45 è entrato lui”, afferma fra le pagine del libro mentre ricorda l’incursione di Amedy Coulibaly.
L’ellissi del terrore ci scaraventa poi a dieci mesi di distanza, a quel 13 novembre 2015 in cui Parigi tornò a sanguinare. In questo caso, il racconto è pressoché completamente affidato alle voci dei suoi sfortunati protagonisti. Si parte da Vincent, spettatore dell’amichevole Francia-Germania in cui si sentirono per la prima volta risuonare i boati dell’attacco. E si arriva Hugo (nome di fantasia), ferito e sopravvissuto all’attacco che si verificò a colpi di arma d’arma da fuoco al Carillon. Poi, chiaramente, la strage del Bataclan. E, all’interno, il ricordo di Valeria Solesin affidato ai familiari della giovane ricercatrice italiana che rimase uccisa dalla furia terroristica mentre assisteva al concerto degli Eagles of Death Metal. “Perché essere così imbecilli e creare così tanto male? Sono quelle le cose che non riesco a comprendere… È proprio l’irruzione dell’irrazionale che per me è proprio qualcosa di inconcepibile, come d’altronde lo era per Valeria”, si chiede Luciana Milani, madre di Valeria Solesin, in uno dei momenti più toccanti del libro.
Anche per le stragi del 13 novembre Parigi rispose con una serie di manifestazioni. Manifestazioni tuttavia diverse rispetto a quelle che colorarono la capitale francese tre anni fa: istituzionali, spesso a porte chiuse e quasi marziali, non più espressione di una volontà di riscatto popolare. Meno partecipate, quasi come se ci fosse assuefatti al terrore. La manifestazione dell’11 gennaio “segnava una vittoria sul fanatismo, quella con cui la Francia ha urlato il suo: No, non ho paura!”, si legge nelle battute finali del libro. Dieci mesi dopo la Francia è cambiata. “Il 13 novembre la luce si è spenta. È calato il buio”.