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Inflazione e scarsa liquidità, le sorprese del 2018

La fine della politica accomodante delle banche centrali e un rialzo più rapido del previsto dell’indice dei prezzi al consumo rischiano di frenare la ripresa globale

Anche se forse la narrazione di questo 2017 è stata, come sempre più spesso, venata di pessimismo riguardo ai dati economici, l’anno che sta per finire è stato positivo anche per l’Italia. La crescita del Pil oltre le aspettative e dati più promettenti sulla disoccupazione stanno lì a testimoniare questa piccola svolta. 

Queste premesse fanno guardare al 2018 con fiducia ma anche con la consapevolezza che alcuni segnali a livello macroeconomico annunciano per l’anno prossimo l’inizio di un deterioramento. Secondo un rapporto di Pictet Asset Management, tra le principali società attive nella gestione del risparmio, il 2018 sarà probabilmente ricordato dagli economisti come l’anno del ritorno dell’inflazione. 

Ed è un po’ una previsione a sorpresa di cui Pictet si prende una responsabilità importante andando contro la maggior parte degli analisti. “Al momento – si legge nel report – è diffusa la convinzione che il regime cosiddetto Goldilocks, in cui a una crescita solida si unisce un’inflazione molto modesta, possa persistere”. Questo perché le previsioni del mercato sull’inflazione per gli Usa, per l’Area Euro e il Giappone, tracciano un percorso molto graduale verso la normalizzazione, cioè un dato intorno al 2-2,5% d’inflazione, che non si esaurirà entro il prossimo anno. “Noi riteniamo, invece – dicono da Pictet –, che l’inflazione ritornerà globalmente su livelli normali già nel corso del 2018”.

Si chiudono i rubinetti 

Ma ci sarà anche una seconda sorpresa che riguarderà la liquidità. Nel 2018, l’asset manager prevede che sui mercati si riverserà un afflusso di denaro dalle banche centrali pari a soli 500 miliardi di dollari, in chiara inversione di tendenza rispetto ai 2,5 trilioni dell’anno che si sta concludendo, e molto inferiore anche al trilione e 300 miliardi del 2016 e al trilione di dollari del 2015. Insomma, è molto probabile che dopo anni anomali di politica accomodante, il flusso di liquidità si prosciugherà. 

“Se combiniamo le due previsioni sopra descritte – continua Pictet –, la prima conseguenza rilevante sarebbe l’importante impatto negativo sui corsi obbligazionari, che potrebbe manifestarsi anche nell’immediato”. Vale a dire un repentino aumento degli interessi sul debito obbligazionario e quindi anche un allargamento degli spread sui titoli di Stato. 

Il secondo effetto potrebbe essere anche il ritorno di un certo livello di volatilità nel comparto azionario, dopo un paio di anni di rally: questo renderebbe l’investimento in borsa meno attraente, cosa che colpirebbe le grandi quotate ma anche quelle piccole e medie imprese, dedite all’internazionalizzazione, che si sono affacciate con tanta fatica sul mercato dei capitali di rischio, cercando di diversificare le proprie fonti di finanziamento.