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Il futuro che ci aspetta

Le novità tecnologiche alle quali assistiamo, e assisteremo, non saranno per l’uomo puramente uno strumento ma saranno origine di “situazioni” alle quali la mente umana dovrà adattarsi, acquisendo nuove competenze e facendo nuove esperienze

Siamo da tempo entrati nel futuro della fantascienza nella quale siamo cresciuti. Al di là dell’imprevedibilità del futuro, poche, grandi direttrici fondamentali si stanno ormai delineando. Proviamo a considerane le principali. 

La prima è la grande convergenza fra nanotecnologie, biotecnologie, neurotecnologie e robotica. Non dobbiamo più solamente pensare alla mente come intimamente connessa al nostro corpo (non solo il cervello, ma ovunque arrivino i neuroni), ma questa mente incorporata non è più scindibile dall’ambiente all’interno nel quale coevolve (lo cambia e ne è cambiata) ed è quindi anche estesa. In questo allargarsi all’ambiente circostante incontra sempre più spesso oggetti sempre più densi di conoscenza, sempre più in grado di interagire con essa e fra di loro, anche senza di essa. Un mondo popolato di prodotti della mente interagirà sempre più intensamente con la nostra stessa mente.

La seconda concerne i trasporti, dalle auto senza pilota, ai treni superveloci, dai velivoli di nuova generazione ai vettori per i viaggi interplanetari. Il nostro corpo viaggerà a velocità e con modalità disorientanti, alle quali non ci ha abituato né l’evoluzione biologica, né la storia pregressa e neppure il progresso che abbiamo vissuto fino a ieri.

La terza è quella della produzione e circolazione delle informazioni e della conoscenza indispensabile per interpretarle e usarle entro una rete integrata che coinvolgerà noi, gli altri e il mondo delle cose.


Le sfide in arrivo

In questo quadro sommario si configurano due grandi sfide. 

Innanzi tutto, una sostenibilità economica, ambientale e sociale che rappresenterà una grande sfida tanto per la conoscenza quanto per la politica, visto che dovremo delegare ad agenzie esperte anonime la gestione di quote crescenti dei rischi intrinseci alla nostra vita quotidiana. Nei rischi sono insiti, infatti, sia una dimensione (hazard) legata a ciò che causa il danno e alla sua probabilità, una dimensione computabile che possiamo chiamare “oggettiva” e presumibilmente abbastanza trattabile. Ma vi è poi un’altra dimensione in gran parte indipendente (outrage) ed è quella che ci fa percepire, per esempio, più “rischioso” un viaggio in aereo piuttosto che un viaggio in auto (contro ogni evidenza), rischiare la vita di un bambino piuttosto che quella di un adulto, far correre un rischio a nostro figlio piuttosto che correrlo in prima persona, sperimentare farmaci e cosmetici in vivo su un animale (topo, pipistrello, iena?) di una specie piuttosto che di un’altra (coniglio, delfino, cane, scimpanzé?). Qui la nostra delega si farà sempre più esigente.

In secondo luogo, la grande sfida sarà per la conoscenza, perché sempre di più vorremo poter entrare nel merito, anche quando questo sarà complesso. E se questo sarà materia da “esperti”, vorremo sempre più spesso far sentire anche la nostra voce, che dovrà essere corroborata dall’acquisizione di conoscenza che non sarà più quella acquisita una volta per tutte col titolo di studio raggiunto in gioventù, ma sarà sviluppata lungo l’intero corso della nostra vita, lavorativa e non (lifelong learning). Non basterà più prendere un titolo di studio e nemmeno studiare per imparare, ma bisognerà anche imparare a imparare e continuare a farlo.