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I rischi sociali dell’abusivismo

Tollerare fenomeni come gli edifici costruiti illegalmente o l’occupazione di quelli non utilizzati non è irrilevante dal punto di vista sociale: ammettere tali fenomeni contribuisce a creare situazioni di marginalità, con il rischio di incentivare anche altre forme di illegalità

L’attuale discussione relativa a una nuova normativa per il contrasto all'abusivismo ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica una tematica problematica, soprattutto alla luce degli ultimi terremoti in Italia.
Saranno i vari procedimenti giudiziari a stabilire le implicazioni dell’abusivismo, che rimane comunque pratica legittimata e che assume sempre più l’immagine di un rituale socialmente quasi accettabile.
La questione non attiene unicamente all’abuso edilizio in sé, ma può essere estesa anche alle forme di occupazione abusiva, che sono state oggetto di molti dibattiti dopo i fatti e gli sgomberi occorsi a Roma ad agosto.
È bene ricordare che l'abusivismo è una pratica illegale consolidata da decenni e presente non solo in Italia ma anche in altri paesi europei come la Spagna e la Francia, dove vi è una forte presenza di questa attività illecita che sempre genera problemi legati alla gestione del territorio, alla convivenza fra persone e alle possibili strategie di prevenzione in zone a rischio. 


Il controllo del territorio e la sicurezza sono legati all’uso della casa

Vari tipi di attività possono essere quindi ricompresi sotto un'unica filosofia, che vede nell'utilizzo illegittimo degli edifici un suo unico punto di contatto. Da un lato abbiamo quindi la costruzione abusiva fisica dell'edificio, mentre dall'altro le case vengono occupate non avendone i requisiti necessari e previsti dalle politiche sociali della zona locale competente.
Esistono a questo proposito dei driver di lettura comune che possono orientare nella comprensione di tali fenomeni e delle loro interconnessioni, quali la gestione del territorio, dell'ordine e della sicurezza personale e pubblica.
L'abusivismo edilizio inteso come costruzione illegale porta con sé molteplici effetti latenti, che giungono all'attenzione pubblica quando gli stessi edifici sono oggetto di devastazione o distruzione dovute a cause naturali come terremoti o alluvioni. Fenomeni che non sono catastrofi di per sé, ma lo diventano quando gli edifici della zona colpita vengono danneggiati coinvolgendo persone nella loro rovina.
Tutto questo rende l'interpretazione dei fenomeni molto complessa, perché viene a mancare un nesso causale fondamentale per la loro comprensione e per la relativa attribuzione di senso. In questo contesto infatti non esistono disastri naturali, ma fenomeni naturali che incontrano attività illegali: anche in questo caso, come in molti altri fatti ai quali stiamo assistendo in questo periodo, la causa non è "pura”.
Infatti alcune forme di abusivismo edilizio sono state condonate attraverso leggi regionali, permettendo la consolidazione e il dilagare di un atto che di per sé è illegale, e mettendo così a repentaglio la salute, la vita di molte persone e la gestione stessa del territorio. 


Condonare significa ammettere il rischio

La pratica del condono può essere definita come una deresponsabilizzazione verso azioni necessarie per la propria sicurezza e per quella delle persone che abitano gli edifici interessati: significa sostanzialmente delegare un problema di consapevolezza e gestione del rischio, senza porre in essere, in ottica preventiva, delle strategie che possano dare adeguata risposta al rischio al quale si è esposti.
È facilmente riscontrabile come la legittimazione di queste forme di illegalità stia mostrando negli ultimi anni i suoi drammatici effetti nella perdita di vite umane in conseguenza di sismi o alluvioni.
Nonostante ciò, in casi come questi poco può essere fatto, perché molto è da attribuire a un contesto culturale nel quale la casa, da bene primario quale dovrebbe essere, diventa un atto illecito. 

Un'altra preoccupante caratteristica di questo fenomeno è che, pur esistendo una normativa organica di regolamentazione a livello nazionale, nella praticità dell'attuazione innumerevoli leggi ed emendamenti regionali interpretano in modo differente quanto stabilito a livello centrale. Questo quadro legislativo dispersivo è correlato anche all’endemica e perdurante difficoltà di censire gli edifici, considerando la nuova riforma in materia, ma anche perché non si è mai provveduto in modo sistematico ad una rilevazione regolare delle abitazioni e dei loro abitanti. 


La distanza tra minaccia reale e percepita

Una situazione, questa, contorta e complessa, che rimanda ad una vulnerabilità drammatica per la comprensione di un fenomeno che può creare problemi e perdite di vite umane soprattutto in zone esposte a rischi di origine naturale. Tali rischi differiscono molto nella loro definizione dove le categorie del rischio reale e di quello percepito raramente si incontrano. Il mancato incontro facilita e sostiene una scarsa consapevolezza e conoscenza del rischio stesso, che porta ad una sempre maggiore esposizione e a una minore competenza per la messa in atto di adeguate strategie di prevenzione e pianificazione.
È la dinamica che potrebbe essere definita come “paradosso del rischio”, dove all’aumentare della presenza della minaccia, aumenta di conseguenza l’esposizione, ma diminuisce la comprensione delle azioni più efficaci per prevenire i possibili danni. 


L’occupazione abusiva crea marginalità sociale

Attenzione differente merita un altro fenomeno diffuso, quale quello dell'occupazione abusiva di case di edilizia popolare. Nonostante le chiare differenze tra i due fenomeni, anche l'occupazione abusiva di case porta a una costante mancanza di trasparenza per gli occupanti, degenerando in relazioni pericolose fra occupanti abusivi e regolari.
La relazione fra i due fenomeni di abusivismo può essere rappresentata secondo due versanti: da un lato vi è il rapporto uomo - ambiente inteso come luogo fisico, dall'altro l’occupazione abusiva implica la relazione fra persone in un ambiente considerato come spazio sociale e di scambi comunicativi.
Il fil rouge che lega queste pratiche consiste nella marginalità delle dinamiche che ad esse danno origine: l'impossibilità da un lato di godere della piena sicurezza, perché esposti a rischi esponenziali derivanti per la maggior parte da cause naturali; dall'altro lato la mancanza di partecipazione alla vita sociale legittima e specifica di quella società. Prospettive differenti di attribuzione di senso all'utilizzo della casa e del territorio, che rimandano a diversi modi di produzione dei rapporti fra persone e riconoscimenti di un’autorità legittima e di un ordine precostituito.
Inoltre, non si deve dimenticare che un simile sistema organizzativo e di vita sociale può portare, come già in passato è accaduto e come sta avvenendo anche ora, a connessioni con attività illecite e criminali.
Per meglio conoscere questi fenomeni e la loro importanza nella gestione di crisi o emergenze nelle aree interessate, ci si dovrebbe concentrare non solo sulla resilienza del territorio di per sé, ma anche delle comunità sociali che abitano quelle zone a rischio con le culture che le caratterizzano.