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Viaggiare per lavoro, in sicurezza

Instabilità sociopolitica, pericoli terroristici, incognite sanitarie: non esistono più Paesi che possono essere considerati sicuri al 100%. E’ un fattore di cui le imprese devono tenere conto, quando inviano i propri professionisti all’estero, agendo su prevenzione e protezione

Sul fronte dei viaggi lavorativi, la sicurezza si sta imponendo sempre più come la priorità numero uno. Le zone critiche si moltiplicano: solo guardando all’Europa, negli ultimi anni sono state oggetto di attacchi terroristici Londra, Bruxelles, Berlino, Barcellona, Parigi, Stoccolma. In un recente sondaggio realizzato da Ferma, la federazione europea dei risk manager, il 75% dei ceo ha dichiarato che l’analisi degli scenari geopolitici internazionali influisce molto di più sulle strategie di business rispetto a pochi anni fa. Si tratta comunque di incertezze che non frenano la spinta all’internazionalizzazione, che viene vista ancora come opportunità di crescita e farà aumentare il numero di lavoratori in mobilità, piuttosto spingono ad una maggiore attenzione per la gestione dei rischi di viaggio.

In viaggio: chi, dove, come

Non esiste più il prototipo del “businessman” viaggiatore. Grazie ai progressi della mobilità, le trasferte coinvolgono oggi una tipologia ampia di persone che include ambo i sessi, persone in età avanzata, lavoratori con disabilità. Ciò porta inevitabilmente a dover considerare una rosa più estesa e diversificata di rischi. In aggiunta, ogni destinazione presenta le proprie specificità. Se nel breve termine si prevede che la gran parte della mobilità globale resterà diretta verso zone che presentano rischi studiati e conosciuti, come Stati Uniti, Canada ed Europa occidentale, le previsioni a medio e lungo termine vedono crescere gli spostamenti verso aree come Cina, India, Messico, Brasile, Cile e Colombia. Paesi meno esplorati, che presentano incognite e nuovi rischi. Cambia anche il “come” si viaggia: diminuiscono le assegnazioni a lungo termine e sono più frequenti gli spostamenti per brevi periodi, che secondo la ricerca di Ferma costituiranno entro il 2020 il 63% del totale.

Chi si occupa dei rischi? 

Nelle realtà più articolate esiste una figura professionale preposta a questo specifico compito (il travel risk manager), mentre nelle organizzazioni più piccole viene solitamente affidato al reparto risorse umane, che collabora con i provider assicurativi. Secondo i risk manager europei le più grandi trasformazioni di questo ruolo nei prossimi anni riguarderanno lo sviluppo di una cultura aziendale del rischio, che dovrà coinvolgere tutto il personale, l’integrazione del risk management nella business strategy, e l’implementazione di programmi di business continuity e gestione delle emergenze e delle crisi. Il focus si sta spostando soprattutto sulla prevenzione. Chi viaggia dev’essere formato e reso consapevole dei rischi che potrà dover affrontare, e dev’essere anche certo che le coperture che ne garantiscono la tutela e l’assistenza saranno valide e attive anche nell’area di destinazione. Evitare i problemi di compliance è forse uno degli aspetti più complicati. In molti paesi le leggi locali faticano a tenere il passo con le innovazioni nel ramo dei viaggi, ad esempio con i servizi di sharing economy, sempre più utilizzati per trasporti e alloggi. Nello scegliere quale tipo di servizio sia più idoneo, vanno considerati diversi aspetti, dagli standard di sicurezza, ai piani di emergenza (che devono prevedere canali di comunicazione alternativi in caso di problemi, servizi di supporto medico e linguistico), oltre alla reputazione del fornitore dei servizi stessi. Un’analisi tanto complessa quanto ormai necessaria.