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Inflazione, la guerra delle banche centrali

Dalla Fed alla Banca d’Inghilterra, e ovviamente la Bce, sono partite all’attacco dei prezzi, sperando che anche la geopolitica (si veda l’aggressione russa in Ucraina) possa dare una mano a raffreddare le economie impazzite

Come previsto, la Banca centrale europea ha aumentato i tassi di 75 punti nella riunione del direttivo dello scorso 8 settembre. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha peraltro annunciato che ci saranno altri rialzi, accompagnati da nuove politiche restrittive. La nemica numero uno delle economie mondiali, in questo momento è l’inflazione, che ha ormai superato il 9% nell’eurozona. A guidare la guerra contro i prezzi impazziti è la Federal Reserve, la prima a dare il via all’aumento dei tassi d’interesse e la prossima, l’appuntamento è per 21 settembre, a spingersi ancora più in là. Del resto, nonostante gli sforzi (e qualche piccolissimo risultato) l’inflazione non molla il mercato statunitense. Ad agosto l’inflazione Usa è scesa all’8,3%, un livello comunque superiore alle attese. Secondo un sondaggio tra analisti, la banca centrale Usa porterà i tassi di riferimento sopra il 4% dai 2,25-2,5% di oggi, per mantenerli a questi livelli oltre il 2023. Dopo la Fed, giovedì 22 sarà la volta della Banca d’Inghilterra, che potrebbe ritoccare i propri tassi almeno di 50 punti base, dall’1,75% al 2,25%. 

Le cause: pandemia, conflitti, previsioni sbagliate 

Ma come si è arrivati a questo scenario? Dopo una crescita decisa in tutte le principali economie mondiali nel 2021, le aspettative per il 2022 e il 2023 si sono notevolmente ridotte. A luglio 2022, l’inflazione nei 19 Paesi dell’eurozona ha raggiunto l’8,9%, il livello più alto nella storia dell’euro. Ma la guerra in Ucraina non è l’unica causa: anche prima dell’aggressione russa, nel 2021 l’inflazione era aumentata in molti paesi a causa dell’impennata dei prezzi delle materie prime e degli squilibri della domanda e dell’offerta, indotti dalle riaperture delle catene produttive durante la pandemia. Molte previsioni, poi, si sono rivelate sbagliate. Il Fondo monetario internazionale, ad esempio, stimava che la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari, aumentati dell’8,5% dall’inizio della pandemia, si sarebbe ridotta al 4,5% nel 2022 per tornare a livelli contenuti nel 2023. Ma questo non si è verificato e l’inflazione è continuata a crescere. 

La dipendenza dal gas russo 

Ovviamente anche in Italia l’inflazione continua a crescere a ritmi molto elevati: i dati definitivi dell’Istat confermano che ad agosto l’inflazione ha raggiunto un tasso record dalla fine del 1985. L’indice nazionale dei prezzi al consumo (Nic), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dell’8,4% su base annua (+7,9% del mese precedente) e un incremento dello 0,8% su base mensile. I prezzi del cosiddetto carrello della spesa segnano un balzo ancora maggiore (+9,6%), un aumento che non si osservava dal giugno 1984. A preoccupare, infine, è l’inverno che ci attende. L’Unione Europea importava 155 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia; questi flussi hanno subito a giugno 2022 una riduzione del 75% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Per ridurre la dipendenza dal gas russo, la Commissione Europea ha deciso di intervenire sui consumi con un nuovo regolamento che ha l’obiettivo di ridurre per tutti gli Stati membri la domanda di gas del 15% tra agosto 2022 e marzo 2023. In questo contesto, l’Italia, che importava 29 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, ha pensato a diversificare le proprie forniture attraverso accordi commerciali con altri Paesi, come Algeria, Qatar e Azerbaijan, e puntando su fonti alternative, a partire dal gas naturale liquefatto.