pandemia-il-contributo-dei-benefit-aziendali

Pandemia, il contributo dei benefit aziendali

Un rapporto di Adapt e Intesa Sanpaolo evidenzia il ruolo determinante che le prestazioni sociali offerte ai lavoratori hanno ricoperto nella risposta all'emergenza sanitaria. Tuttavia, resta ancora scarso il coordinamento fra misure pubbliche e private, che potrebbe garantire una maggiore efficienza del sistema

Il welfare aziendale ha svolto un ruolo determinante nella risposta ai nuovi bisogni emersi con la pandemia di coronavirus in Italia: secondo l'ultima edizione del rapporto Welfare for People, curato da Adapt e Intesa Sanpaolo, l'offerta di prestazioni sociali messa in campo dalle imprese è infatti riuscita a combinare efficacemente il perseguimento degli obiettivi di produzione al soddisfacimento delle esigenze dei lavoratori.
Grande attenzione, com'era forse inevitabile, è stata riposta nell'ambito sanitario: fondi e strumenti di contrattazione aziendale, come si legge in una nota stampa, hanno coperto “non solo le fasi più acute dell’emergenza sanitaria, ma anche le fasi di progressiva ripresa delle attività”. Anche gli strumenti di welfare fiscale hanno assunto una nuova dimensione, più ancorata a bisogni di natura sociale e meno legata ad aspetti meramente consumistici: l'utilizzo dei cosiddetti “voucher multispesa”, per esempio, è stato rivolto in misura rilevante “all’acquisto di dispositivi sanitari e tecnologici necessari a supportare esigenze personali e familiari”.
Più in generale, il fenomeno del welfare aziendale ha dato prova di poter rappresentare “una leva per le imprese per rispondere alle complesse sfide in atto, non soltanto costituite dalle immediate conseguenze della crisi epidemiologica, ma anche da un impatto psicologico sui lavoratori che li conduce a riconsiderare le loro condizioni lavorative e le loro motivazioni al lavoro, fino alla scelta, a volte, di lasciare il loro lavoro”.


Il caso dell'industria alimentare

“Si tratta di una ulteriore conferma della visione che abbiamo sempre voluto portare nel rapporto”, ha commentato Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt. “Una visione di relazioni industriali – ha proseguito – secondo cui il welfare aziendale non è solo e principalmente uno strumento per contrastare l'arretramento del welfare pubblico, ma un molteplice e prezioso insieme di strumenti che possono accompagnare in termini di sostenibilità le imprese e i lavoratori nelle imponenti trasformazioni del lavoro che stiamo vivendo e cioè la trasformazione demografica, quella digitale e quella ecologica”.
Il rapporto, proprio per evidenziare il ruolo che può ricoprire il welfare aziendale, ha dedicato un approfondimento alla contrattazione collettiva nell'industria alimentare. Nel dettaglio, la ricerca ha rilevato che la flessibilità organizzativa e la conciliazione fra vita e lavoro rappresentano “il 70% delle misure di welfare contrattate a livello aziendale, con un ampio ventaglio di previsioni che testimoniano come la contrattazione di secondo livello dimostra di saper assumere un ruolo guida sulla materia”. Molto diffuse anche le misure sulla formazione in ambito professionale dei lavoratori dipendenti (57%), mensa e buoni pasto (40%) e le disposizioni sui buoni acquisto e sui flexible benefits (27%). Mantengono un certo peso poi gli ambiti dell’assistenza sanitaria integrativa (18%) e della previdenza complementare (15%).


Ancora poco coordinamento

Un altro approfondimento, come già avvenuto nelle precedenti edizioni del rapporto, riguarda poi la dimensione territoriale del welfare. L'analisi si è focalizzata sulle province di Parma, Reggio Emilia e Modena, in cui è particolarmente radicata la presenza di industrie del settore alimentare, e ha rilevato il grande sforzo che questi territori stanno mettendo sull'accrescimento della “propensione delle imprese ad avviare questo tipo di iniziative e la possibilità di raccordare le misure di welfare aziendale con il contesto di riferimento, anche se tale sforzo – ammettono i curatori del rapporto – non sembra essere ancora sufficiente a offrire un sostegno pienamente efficace all’occupazione femminile e alla natalità”.
Nello specifico, emerge “la difficoltà del collegamento tra l’azione di rappresentanza delle parti sociali sui territori e quella che avviene dentro il perimetro d’impresa”. Infatti, nonostante negli ultimi anni si siano moltiplicate diverse progettualità condivise fra gli stakeholder del territorio, i piani sembrano ancora muoversi su quello che viene definito “un binario parallelo, ovvero nell’ambito della contrattazione sociale territoriale e dei partenariati locali, che resta in gran parte scollegato da quello della contrattazione collettiva”. Ecco perché, secondo le conclusioni del rapporto, è necessaria una maggiore integrazione tra misure di welfare pubblico locale, contrattuale e integrativo, anche grazie a strumenti quali la contrattazione sociale territoriale, per costruire un sistema di welfare territoriale in cui le misure siano sviluppate in raccordo con le esigenze del contesto sociale, economico e produttivo di riferimento.